Il gioiello nei secoli dei secoli
L’arte di lavorare metalli nobili, leghe preziose e gemme per realizzare gioielli, ovvero oggetti di ornamento personale e decorativo in genere, ha origini assai remote e rientra nel campo delle attività umane artistiche (artistiche, sottolineiamo, caso mai qualcuno se ne fosse scordato), sebbene oggi il lavoro sia in buona parte meccanizzato.
Già ritrovamenti archeologici neolitici testimoniano un’embrionale lavorazione dll’oro per mezzo di martelli di pietra; ma fu solo all’inizio dell’età del bronzo che venne intrapresa la fusione del metallo giallo. Oggetti aurei sono stati scoperti in Egitto, Mesopotamia, Siria, Fenicia (fu dagli abili Fenici che gli Ebrei appresero l’arte dell’oreficeria).
L’attività conobbe uno sviluppo particolare nella civiltà cretese-micenea, come dimostrano le favolose maschere funerarie in oro massiccio dei sovrani achei. Una notevole raffinatezza tecnica si raggiunse poi in ambito etrusco, su influsso orientalizzante e ionico.
Nella Grecia classica e nella Magna Graecia (cioè nell’Italia meridionale colonizzata dagli Elleni) gli orafi produssero manufatti estremamente sofisticati e tale tendenza alla preziosità si fece oltremodo evidente in epoca alessandrina, in cui con lo sfarzo imperante trionfarono le incrostazioni di pietre dure (donde stupendi cammei e gemme incise).
L’oreficeria romana, per quanto pregevole, ebbe invece caratteri più pratici e meno fini. Nell’Alto Medioevo, poi, sia a Roma sia a Bisanzio e Ravenna fu portata avanti la tecnica tradizionale, mentre l’artigianato dei popoli barbari fu caratterizzato da un gusto piuttosto pittorico espresso nell’uso marcato di vetri, smalti, mosaici, motivi geometrici.
Ma esempi di interesse (ovvero di eccellenza) si possono individuare in questo periodo anche fuori dal bacino mediterraneo. In effetti, Nei secoli VI e VII fu notevole soprattutto l’oreficeria irlandese ed in epoca carolingia comparve il rilievo figurato a sbalzo (vedasi l’altare di Volvinio nella Basilica di Sant’Ambrogio a Milano, per citare un capolavoro “in patria”).
Nello stesso tempo, a Bisanzio si giunse al più alto livello di perfezione tecnica (come attestato dalla splendida pala di San Marco a Venezia), forse una delle vette supreme mai toccate dall’arte universale.
Importantissimo per la storia della gioielleria fu, in seguito, il periodo gotico, allorché venne specialmente Parigi a distinguersi per la sua eccezionale produzione, destinata ad influenzare buona parte del ‘400, finché nel pieno Cinquecento si affermò lo stile rinascimentale, nel cuore dell’Italia, con la sua grande varietà di temi e di forme, unitamente ad un sommo virtuosismo procedurale (di cui resta insuperato paradigma l’estroso Benvenuto Cellini).
Il Barocco, d’altro canto, fu dominato dal gusto per lo sbalzo a superficie larghe tese a creare effetti appariscenti, mentre con il Rococò e con lo stile che prese nome da Luigi XVI si assistette ad un ritorno fiammante alla raffinatezza estenuata, incarnata da piccoli oggetti di impiego personale come tabacchiere e pezzi da toeletta.
Alla fine del Settecento si cominciò ad investire in sistemi di lavorazione meccanici e comunque per un certo periodo, col Neoclassico, si realizzarono ancora opere sontuose ed eleganti frutto di perizia artigianale.
Poi l’oreficeria si perse un po’ nelle nebbie dell’eclettismo e della rielaborazione di motivi tradizionali, un trend che forse è proseguito fino ai nostri giorni, in cui, pur con l’affermazione di strumenti tecnici e tecnologici di ogni tipo, non mancano le produzioni di altissima qualità stilistica, dove la mano dell’uomo, così come la sua creatività ed il suo buon gusto, conservano un ruolo fondamentale.
Tuttavia, probabilmente si è esaurita l’epoca delle “rivoluzioni” anche in campio orafo, ed alla forza propulsiva dell’ispirazione, delle idee, dell’innovazione culturale, sa supplire solo il progresso industriale. Oggi, in sostanza, la gioielleria in generale ha raffreddato la sua espressività senza accorgersene, illusa di poter “dire qualcosa” attraverso la serialità, la ripetitività, l’accessibilità ad un numero sempre più vasto di individui. Ma a ben vedere, fra le varie arti, essa appare senz’altro quella più afona e povera di contenuti autentici di elevato valore culturale, sebbene i riferimenti a precisi codici ideali siano presenti ed esplicitati persino tramite potenti campagne pubblicitarie e comunicazionali.
Il tuffo al cuore, il respiro mozzato, lo stupore di fronte ad un gioiello si verificano sempre meno frequentemente. Che sia anche e soprattutto una questione di committenza, un tempo elitaria, aristocratica ed esigente, ora più estesa, democratica e incolta? .
Quel che appare evidente è che il gioiello, a prescindere da ogni disquisizione socio-economico-filosofica, dovrebbe forse tornare a lambire con maggiore passione i territori dell’arte e della fantasia piuttosto che quelli della tecnologia e dei numeri. Il business non mancherà comunque