Il mistero della vita nel cuore del presente
Poco noto in Italia, il genetista francese Jérôme Lejeune, morto nel 1994, è colui che scoprì la prima anomalia genetica, la cosiddetta trisomia 21, responsabile della sindrome di Down, sino agli anni ’50 ritenuta una tara razziale oppure provocata da genitori sifilitici o alcolisti. Primo Presidente della Pontificia Accademia per la Vita creata da Giovanni Paolo II, Lejeune è stato dichiarato Servo di Dio dalla Chiesa Cattolica e il XXXIII Meeting di Rimini gli ha dedicato un’importante mostra, che si è subito trasformata in un evento itinerante, toccando varie città (compresi alcuni centri minori): “Che cos’è l’uomo perché te ne ricordi? Genetica e natura umana nello sguardo di Jérôme Lejeune”.
“Un Santo normale”, come venne definito dalla figlia Claire, Lejeune era solito dichiarare di fronte alle istanze abortiste: “Non è commettendo un crimine che si protegge qualcuno da una disgrazia. E uccidere un bambino è semplicemente omicidio. Non si dà sollievo al dolore di un essere umano uccidendone un altro. Quando la medicina perde tale consapevolezza, non è più medicina”.
Attivista dei diritti umani e deciso oppositore alla proliferazione nucleare, Lejeune ha lasciato un’eredità di peso e di valore a molti scienziati venuti dopo di lui, benché in vita fosse stato contrastato e marginalizzato da molti colleghi.
Abbiamo voluto approfondire i temi – tutti di drammatica attualità – che gli furono più cari, benché apparentemente esulino da moda&modi (ma forse solo a prima vista, essendo in realtà strettamente intrecciati ai costumi ed agli stili di vita della nostra società).
Lo facciamo con un’intervista alla Dott.ssa Simona Ferrari, autorevole genetista del Policlinico S. Orsola Malpighi di Bologna.
- Cosa significava curare per Lejeune? I ricercatori al giorno d’oggi hanno perso un po’ di vista questo obiettivo?
Curare per Lejeune significava “prendersi cura” del malato come persona. Prima ancora che un ricercatore, Lejeune era un medico, e non ha mai rinunciato alla sua missione. Aveva scoperto la causa della sindrome di Down, ma quello che gli interessava maggiormente era occuparsi dei bambini e delle loro famiglie. Io penso che i ricercatori oggi, almeno per la maggior parte, non abbiano perso di vista l’obiettivo di arrivare a una cura, o quantomeno a un miglioramento delle condizioni di vita delle persone malate. La ricerca in Italia, sebbene non adeguatamente supportata dal governo, mostra un tessuto sostanzialmente sano e un grande potenziale.
- Lei riscontra che le nuove conoscenze siano utilizzate per curare meglio le persone oppure per effettuare una selezione più rigorosa in ottica, per così dire, eugenetica?
L’acquisizione di sempre maggiori conoscenze contribuisce sia a dare una speranza di cura ai malati, sia a rendere sempre più efficace la selezione genetica. Non possiamo negare che nelle società moderne ci siano forti spinte verso l’eliminazione delle malattie più gravi prima della nascita. Per fare un esempio non troppo distante da noi, in Danimarca il governo ha ingaggiato una vera e propria battaglia contro la sindrome di Down tramite una fitta propaganda e si è posto come obiettivo l’eliminazione di essa entro il 2030. Il fenomeno è complesso e va analizzato nei suoi diversi aspetti, senza dimenticare che molte famiglie non se la sentono di accogliere una sfida così grande com’è quella di un bimbo con una malattia genetica. Non mancano comunque sforzi che vanno nella direzione della ricerca di terapie risolutive, come quella genica e cellulare. A questo proposito non possiamo non menzionare charities come Telethon e AIRC che sostengono da anni la ricerca sulle malattie genetiche e sul cancro tramite il finanziamento di progetti d’eccellenza.
- Come fa uno scienziato a non scendere mai a compromessi in questo mondo che sembra sempre più orientato al materialismo, al nichilismo, al relativismo?
Mi viene da rispondere con una frase di Giovanni Falcone: “Che le cose siano così non vuol dire che debbano andare così. Solo che, quando si tratta di rimboccarsi le maniche e incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare”.
- Per la scienza ogni essere è davvero unico e insostituibile?
Su quali presupposti un uomo di scienza dovrebbe effettuare le proprie scelte in favore della vita? Ogni essere umano è unico. Tant’è vero che sempre più spesso si sente parlare di medicina personalizzata: a ciascuno la sua cura. Uno scienziato può effettuare le proprie scelte personali solo in base al proprio stato di coscienza, che dipende da cosa abbiamo capito di noi stessi, del senso della nostra vita e quindi del senso della vita degli altri uomini.
- Quale resta la più grande lezione di Lejeune per i ricercatori di oggi?
Lejeune era uno studioso serio che, seguendo le proprie intuizioni, è riuscito a identificare le basi genetiche di alcune fra le più importanti patologie cromosomiche. Era però soprattutto un medico. E, ancora più importante, era un uomo libero, che ha avuto il coraggio di fare delle scelte contro corrente per la sua epoca e ha accettato di pagare un prezzo per queste scelte.
- Ci sono spazi di collaborazione fattivi tra la scienza e il Movimento per la Vita?
Ci potrebbero essere. Bisogna prima di tutto trovare degli obiettivi condivisi su cui investire. La scienza è fatta di persone, che spesso dedicano le proprie energie altrove per mancanza di fondi. Non va dimenticato che tanti ricercatori in questo Paese, soprattutto giovani, scendono a compromessi per necessità.
- Infine, una grande domanda a Lei come genetista e come donna: potevamo non esistere e invece ci siamo, perché?
Secondo me ci siamo perché facciamo parte di un disegno più grande di uomo e di umanità. Sono consapevole del fatto che molti autorevoli scienziati non la pensano come me. Ecco cosa dice a questo proposito Richard Dawkins, che era un ateo convinto, nel suo libro “The Selfish Gene”: “La selezione naturale è l’orologiaio cieco, cieco perché non vede dinanzi a sé, non pianifica conseguenze, non ha in vista alcun fine. Eppure, i risultati viventi della selezione naturale ci danno un’impressione molto efficace dell’esistenza di un disegno intenzionale di un maestro orologiaio; che alla base della complessità della natura vivente ci sia un disegno intenzionale, è però solo un’illusione”. Che dire? Non c’è disputa possibile su questo punto. Ognuno ha il proprio stato di coscienza che va rispettato