Il nuovo lusso
La filosofia del “New Luxury” si assesta in cinque tendenze legate al bisogno assoluto di qualità, secondo un’idea di Francesco Morace. Ma in termini di strategie, dove sta andando il settore del lusso per stare al passo del nuovo concetto di lusso e per far fronte alla crisi?
Il lusso è morto, viva il lusso! Così ci viene da commentare se analizziamo le dinamiche in atto nel mondo del lusso che gravita intorno alla moda.
Mentre l’opulenza sfacciata appartiene al passato, riscontriamo ora che la ricchezza si coniuga con la coscienza, le emozioni, la cultura. E si personalizza sempre più per dare ad ognuno il proprio stile. Si delinea così un nuovo concetto di lusso, esclusivo e mirato, che appaga i cinque sensi e fa vibrare anima e cuore, traducendosi nel piacere senza prezzo di circondarsi di raffinatezza, rarità, esclusività, artigianalità, servizio superiore, “eternità”.
“Amo il bello, l’intelligente, il curioso, il non banale. Ogni tanto tutto questo coincide con il costoso, ma il prezzo non ha niente a che fare con il lusso” ha dichiarato la nota stilista Miuccia Prada.
“New Luxury” lo ha definito il noto sociologo Francesco Morace, individuando gli scenari del futuro in cinque tendenze legate al bisogno assoluto di qualità, e precisamente:
- 1) l’esperienza straordinaria (ad esempio, regalarsi un anello Trilogy);
- 2) il lusso giocoso (divertirsi con capi di moda eccentrici);
- 3) la supergriffe (puntare su prodotti diversificati di marchi prestigiosi);
- 4) l’eccellenza tangibile (arredi eco-funzionali e firmati);
- 5) il lusso e la perversione (uscire dai canoni del consueto per esplorare nuovi territori).
Lo studioso francese Jean Castarède nel suo libro “Le luxe” va ancora oltre affermando: “Il lusso non è un oggetto, ma un segno. Distintivo, sempre più soggettivo”. Quindi, ben lungi dal mero possesso di un bene costoso. Semmai conta lo spessore culturale e sentimentale del prodotto per passare dalla “distrazione”, ormai divenuta cosa vana, alla “discrezione”, ovvero all’interiorizzazione delle esperienze.
Trattasi di un fenomeno altamente pervasivo, che coinvolge moda, design, gioielli, vacanze, cibo, sessualità e viaggia nel profondo, senza ansie di visibilità: “Il nuovo lusso evita ogni ostentazione fino a scomparire” osserva la celebre gallerista milanese Carla Sozzani, anticipatrice di trend.
James B. Twichell, professore all’Università di Gainesville in Florida, in “Living it up: our love affair with luxury” sostiene proprio questo concetto allorché scrive la frase lapidaria: “Non è più quello che abbiamo che ci fa raggiungere la felicità”.La felicità, piuttosto, deriva da come siamo, dal nostro stile di vita, che orienta le scelte di acquisto e di possesso in un senso oppure in un altro.
Aggiunge un altro famoso sociologo, Gianpaolo Fabris, ne “Il nuovo consumatore verso il Postmoderno”, che il lusso deve essere culturalmente attuale, olistico, cioè deve giocare a tutto campo, in un mix di spirito e corpo.
Si delinea chiaramente, pertanto, l’idea d un lusso su misura, personale ma globale, sexy ma garbato, fantasioso ma semplice, in grado di rendere irripetibili certi momenti e le persone che li vivono.
Fin qui la “filosofia”, che tutti i colossi del lusso sostengono di condividere, di assecondare, di promuovere. Ma concretamente oggi, in termini di strategie, dove sta andando il settore?
In effetti per molti big negli ultimi anni sono venuti al pettine parecchi nodi di una crisi iniziata ben prima dell’attacco alle Torri Gemelle e, per altri aspetti (vedonsi i recenti crack finanziari a stelle e strisce), ancora viva più che mai. Tutti sperano nella durata del boom dei consumi griffati in Cina, Russia, India, Emirati Arabi, ma confidano pure nel ritorno allo shopping degli Americani, molto rapidi a rallentare gli acquisti quando le cose vanno male, ma rapidissimi a sfoderare le carte di credito quando il sereno si staglia all’orizzonte. E chissà che anche stavolta lo zio Sam non riesca a rialzare la testa prima di quanto ci si aspetti.
Un modello di business vincente, comunque, non esiste: non si tratta di scegliere a tavolino se è meglio l’azienda monomarca od il gruppo multibrand. Quello che conta davvero è il valore del marchio. Se il marchio è forte, è meglio restare soli, perlomeno nel breve termine. A lungo andare, forse risulta migliore il paradigma multimarca, perché bilancia i rischi e consente di disporre di risorse economiche ingenti. Ma è anche più lento nel rispondere ai mutamenti dei gusti.
Pr quanto riguarda specificamente i gioielli, sono due le nitide tendenze che animano il settore: la produzione di marca ad alto valore aggiunto di creatività continua a segnalare una crescita delle vendite, mentre la gioielleria anonima versa in una crisi sempre più nera.