“Il Raffaello degli animali”
Lo squisito Pittore di Palazzo Lonati Verri, attivo a Milano nella seconda metà del XVII secolo e autore dello stupendo Ciclo di Orfeo, ha ora un nome certo e la sua identificazione definitiva si deve agli studiosi Gianluca e Ulisse Bocchi, che da poco hanno pubblicato un’eccellente monografia dedicata a “Carl Borromäus Andreas Ruthart. Un pittore mitteleuropeo fra Milano, Venezia, Firenze, Roma, L’Aquila e Napoli” (edita per i tipi di Grafiche Step, Parma).
Questo Ciclo di Orfeo è il più vasto corpus pittorico naturalistico della storia dell’arte europea secentesca, composto di 23 grandi tele di straordinaria potenza stilistica ed iconografica, ospitato sino all’inizio del 2019 nella cosiddetta Sala del Grechetto di Palazzo Sormani a Milano (luogo dove ha sede la Biblioteca Civica). Attualmente trasferito in altra sede dove sarà sottoposto a un restauro che si preannuncia lungo e delicato, consiste in un complesso di dipinti di gusto fiammingo di qualità elevatissima, caratterizzato da un’eccezionale resa delle diverse specie di animali (selvatici e non), tale da rasentare l’illusionismo.
L’enigmatica personalità a cui si deve il capolavoro, in termini di regia e di esecuzione delle scene zoologiche principali, è ritenuto essere Carl Borromäus Andreas Ruthart, pittore tedesco di formazione olandese e origini polacche (nato a Danzica intorno al 1630 e morto a L’Aquila nel 1703), che operò nelle maggiori città italiane in quegli anni.
La perfezione morfologica della rappresentazione, che può quasi definirsi miniaturistica, è ascrivibile alla mano di un raffinato animalista come lui, così come sono riconducibili a lui la predilezione per i grandi formati e la meticolosità nella raffigurazione paesaggistica, nonché l’energico slancio emotivo a corredo del suo modus operandi. Inoltre – sembra più di un’ipotesi – la grandiosa sequenza di dipinti reca la griffe del medesimo autore nordico che vi avrebbe inserito il proprio autoritratto giovanile (in una tela proveniente dalla collezione dei marchesi Casati Stampa). Evidente il suo passaggio milanese anche nella devozione a San Carlo Borromeo, di cui egli assunse il nome, facendosi poi monaco nel 1672 a Roma col nome di fra’ Andrea. Nel centro ambrosiano egli sarebbe altresì entrato in contatto con il canonico Manfredo Settala e le sue mirabili Wunderkammer naturalistiche che costituivano una fonte di ispirazione inesauribile per un artista vocato peculiarmente alla riproduzione di caratteri zoologici.
Il Ciclo di Orfeo così com’era stato concepito poco oltre la metà del secolo al piano nobile dell’antico Palazzo Visconti-Verri in via Monte Napoleone a Milano venne commissionato dal nobiluomo Alessandro Visconti di Carbonara (capocaccia del granduca di Toscana Ferdinando II de’ Medici) anche ad altri pittori stranieri provenienti da Venezia e Firenze, tra cui il polacco Pandolfo Reschi (1640-1696) e il belga Livio Mehus (1627-1691). L’intero ciclo – che rivestiva le quattro pareti di una grande sala – narra il mito di Orfeo che col canto ammansisce gli animali, anche i più feroci: la serie ne dispiega circa 200 di tutte le specie, ritratti in mezzo alla natura con eccelsa abilità esecutiva e fedeltà descrittiva, in un’atmosfera spesso colma di pathos e finanche di spiritualità.
Palazzo Visconti passò prima ai Lonati (o Lunati) e poi ai Verri. E a fine Settecento cominciò a circolare l’attribuzione delle tele, errata ma destinata ad avere fortuna, al genovese Giovanni Battista Castiglione (1609-1664), detto il Grechetto, celebre per i suoi dipinti con animali.
La sala chiamata (impropriamente) del Grechetto di Palazzo Verri fu immortalata in alcuni quadri di fine ‘800, poco prima della sua completa demolizione. L’ultima dei Verri, Carolina, sposò Alessandro Sormani Andreani e nel 1877 vendette il palazzo di famiglia, che fu appunto smantellato. Nei primi anni del Novecento, le tele Verri furono rimontate a Palazzo Sormani, il quale in seguito venne acquistato dal Comune meneghino che vi insediò il Museo di Milano (1935) e poi, nel dopoguerra, la Biblioteca Civica (1956). La Sala del Grechetto (priva di alcune tele esposte in un’altra stanza del medesimo edificio) fu riallestita e destinata a sede di conferenze.
Al Maestro di Palazzo Lonati Verri, oltre alle 23 tele grandi del ciclo con Orfeo, sono state assegnate dagli storici dell’arte anche altre opere con animali, tra cui due splendidi dipinti provenienti dalla Villa San Martino dei marchesi Casati Stampa ad Arcore (nota anche per essere la residenza di Silvio Berlusconi dal 1974), che i Bocchi attribuiscono ora alla collaborazione fra Ruthart e l’olandese Peter Mulier detto il Cavalier Tempesta.
Il periodo milanese di Ruthart conobbe lunghi secoli di oblio e tutt’oggi non sono stati rinvenuti documenti comprovanti in modo inequivocabile l’identità del talentuoso autore del Ciclo di Orfeo, ma la tesi avanzata da Gianluca e Ulisse Bocchi, avallata da solide testimonianze storiche ed innumerevoli raffronti stilistici, sembra ora avere aperto una breccia nel mistero che circonda questo pittore, il quale si definiva olandese (i toni caldi e la morbidezza del pennello ne denunciano in effetti la matrice fiamminga evocativa di Rubens) e apponeva la sua sigla in tedesco (da notare che nel 1692 venne scoperto a Milano un inventario in cui si citava un pittore “olandese” come autore di animali simili a quelli raffigurati nel Ciclo di Orfeo).
Il “Rafaello degli animali”, come lo appellò l’abate Pietro Zani, suo biografo nell’800, godette in vita della stima di illustri contemporanei e la sua arte fu contesa dai più sofisticati committenti, tra cui Cosimo I de Medici e il principe di Liechtenstein. La sua attività si esplicò in vari luoghi, da Anversa a Vienna, Roma e L’Aquila, passando per Milano, Venezia e Firenze, senza dimenticare Napoli (dove vantava ottimi rapporti con il celebrato pittore Luca Giordano), e oggi le sue pregiate nature morte con animali vivi si trovano in alcune delle più importanti collezioni al mondo.
Ma il luogo dove Ruthart forse poté liberare al meglio le sue potenzialità espressive fu quella sala di Palazzo Lonati Verri che non esiste più. Sopravvive, per fortuna, il frutto della sua opera e della sua personalità, che grazie ai Bocchi è stata ora inquadrata puntualmente, rendendogli piena giustizia.