Il ritorno a scuola delle commesse
In non pochi casi il personale di vendita dei negozi di moda rappresenta un anello debole della catena: selezionato secondo criteri prevalentemente estetici, spesso conosce il prodotto ad un livello solo epidermico, a volte meno dello stesso cliente, ignorando ad esempio se un oggetto è disponibile online o dimostrandosi incapace di spiegare elementi tecnici come la differenza tra un tessuto e l’altro o le modalità di cura di un capo. Persino in certe lussuose boutique di prestigiose vie dello shopping urbano ci si imbatte in commesse/i sgradevolmente avvezze/i a “squadrare” dall’alto in basso i clienti che entrano e a trattarli in modo diverso in base a pregiudizi sul presunto potere d’acquisto… dimenticando che le principesse non sempre arrivano in carrozza e che spesso indossano i jeans. Del resto, ricordiamo tutti quanto accaduto non molto tempo fa a Oprah Winfrey, una delle donne più potenti degli USA, che in un raffinato negozio di Zurigo si è vista rifiutare una borsa perché giudicata troppo costosa per lei dalla commessa (italiana) che la stava servendo.
In sostanza, occorrono dei venditori all’altezza dei prodotti in vetrina, e se questi sono eccellenti altrettanto devono essere quelli. In altre parole, sono necessarie argomentazioni sempre più razionali: spiegazioni dettagliate sull’abito o sull’accessorio, capacità di raccontare l’heritage della marca, suggerimenti di stile mirati e tanta empatia col potenziale cliente. Si tenga presente che nel lusso il brand non basta più, così come non bastano un design affascinante e un ambiente multisensoriale per spingere un cliente a varcare la soglia del punto vendita in cerca di esperienze esclusive e coinvolgenti. I consumatori sono più attenti agli acquisti, più esigenti in fatto di qualità, più informati: si aspettano le migliori materie prime, la denominazione d’origine, le lavorazioni artigianali. Ma aspirano ad un valore aggiunto anche nel modo in cui comprano. Allora, ecco perché sempre più aziende della moda danno vita a scuole interne per il proprio personale di vendita.
A proposito di queste retail academy, la professoressa Erica Corbellini (SDA Bocconi) afferma: “Sono progetti di portata diversa che seguono la scia di veri e propri precursori e punti di riferimento nella formazione del personale di vendita come Louis Vuitton e Zegna che da anni investono nella codificazione di una selling ceremony eccellente e nella misurazione dei risultati attraverso strumenti come il Mystery Shopping (acquisti in incognito effettuati da professionisti che vengono assoldati per valutare i comportamenti, la gestione e la capacità del personale coinvolto nell’erogazione del servizio) e il Net Promoter Score (la volontà dei clienti del brand di raccomandarne i prodotti ad amici e familiari)”.
In cosa consiste più precisamente la formazione? Ebbene, si va dalle esercitazioni in ambienti che riproducono il negozio al training sul punto vendita, spesso rivolto agli store manager che a loro volta dovranno formare i venditori, ai manuali che illustrano le specificità stilistiche dei materiali e dei prodotti, fino alla creazione di piattaforme online dove si condividono informazioni sulla storia e i valori dell’azienda, le caratteristiche peculiari degli articoli in collezione.
Molto importante per la formazione dei venditori, però, è anche l’aspetto dell’attitudine: il personale deve saper rendere l’ambiente accogliente, mettere sempre i clienti a proprio agio, instaurare una relazione “complice” con tutti coloro che approcciano in qualche modo la marca, a prescindere dalle azioni di acquisto.
Punto focale del training è la definizione dei momenti-chiave della “cerimonia” di vendita: da come si dà il benvenuto al cliente in boutique alle tecniche per acquisire informazioni per capire a cosa egli sia interessato, alla capacità di evocare desiderio tramite la narrazione e di finalizzare l’acquisto proponendo altri articoli in tema, per poi concludersi con la spiegazione dei servizi post-vendita e la successiva intrapresa di opportune iniziative di Customer Relationship Management.
Dissipata l’aura, l’obiettivo del retail training è ben concreto: giustificare il premium price per vendere di più mediante l’aumento della percentuale di visitatori che effettuano un acquisto e l’innalzamento dello scontrino medio (facendo acquistare al cliente più beni o articoli di valore superiore).
Come spiega chiaramente Erica Corbellini, un bravo commesso sa far sognare il cliente, vendendo il mondo di valori che ha dato origine al prodotto prima dell’oggetto stesso: “Ogni singolo capo ha una storia ed è compito del personale di vendita raccontarla al cliente, non solo descrivendo le caratteristiche tecniche del prodotto – i tessuti e i materiali, le lavorazioni, la vestibilità, i dettagli – ma anche trasmettendo cosa c’è dietro la realizzazione di quel prodotto, lo stile di vita che si vuole trasmettere, le fonti d’ispirazione che hanno reso possibile la sua creazione”.