Il sapore dell’attimo fuggente. Fenomenologia del caffè
Si dice che il tè abbia il sapore di esistenze passate. E il caffè invece di cosa sa? Di vite presenti? Sì, forse è proprio questo il suo gusto: quello dell’istante, della cattura dell’attimo fuggente, del momento di piacere da assaporare quando ci va. Meglio se insieme a qualcun altro con cui scambiare due sane chiacchiere o l’alchimia di un rilassante silenzio. In effetti pochi cibi al mondo come il caffè possono garantire quella eudaimonia – concetto caro alla filosofia greca – ovvero l’essere posseduti da un buon demone ispiratore, che finalizza la nostra vita verso la felicità: un concetto che, lungi dal mero edonismo, è soprattutto da intendersi come base dell’etica. Sì, perché il caffè è anche una sorta di enzima del pensiero, di catalizzatore delle energie, di propellente dello spirito. Scriveva Balzac: “Il caffè giunge nello stomaco e tutto mette in movimento: le idee avanzano come battaglioni di un grande esercito sul campo di battaglia; questa ha inizio… I pensieri geniali e subitanei si precipitano nella mischia come tiratori scelti”. D’altro canto Montesquieu arrivava a sentenziare che “il caffè ha la facoltà di indurre gli imbecilli ad agire assennatamente”, osservando poi che “il caffè è l’unico luogo dove il discorso crea la realtà, dove nascono piani giganteschi, sogni utopistici e congiure anarchiche senza che si debba lasciare la propria sedia”. Quindi non deve stupirci più di tanto se lo scrittore Heinrich Eduard Jacob si è spinto a definire la scoperta del caffè “a suo modo importante quanto l’invenzione del telescopio o del microscopio” in quanto il caffè “ha inaspettatamente intensificato e modificato la capacità e la vivacità del cervello umano”.
In nessun luogo come in Italia, però, il caffè è venuto ad assurgere in età contemporanea ad un ruolo simbolico profondo che tocca anche la sfera socio-politica. Marcello Veneziani ha affermato che “i quattro amici al bar sono l’archetipo della situazione italiana. Sono fondatori di un mondo eventuale, ma non lo cambiano mai. Da noi le rivoluzioni nascono in piazza e finiscono davanti a un caffè”. Ed ha aggiunto che “nel caffè si incontrano il possibile e il reale. È l’unica possibilità di rivincita del pensiero astratto chiuso nelle Accademie: una scintilla di filosofia”. Avrebbe concordato senz’altro l’arguto Voltaire che da par suo confessava: “Bevo quaranta caffè al giorno per essere ben sveglio e pensare, pensare, pensare a come poter combattere i tiranni e gli imbecilli. Sarà senz’altro un veleno, ma un veleno lentissimo: io lo bevo già da settant’anni e, finora, non ne ho mai provato i tristi effetti sulla mia salute”. Del resto, basti pensare all’importanza conquistata dai caffè filosofici nell’illuminato XVIII secolo come esercizio dell’opinione e della critica su svariati temi, una pratica questa rilanciata negli anni ’90 dal filosofo francese Marc Sautet.
Oggi è soprattutto la storica azienda triestina Illy a promuovere la cultura del caffè a 360°, proponendo “l’oro nero” non solo come declinazione di aromi, sapori e consistenze, ma anche come insieme di riti e tradizioni, storie, territorialità, ospitalità, saper fare, amore per il bello e il buono. Da questo impegno è persino nata nel 1999 a Napoli un’Università del Caffè, poi nel 2002 trasferita a Trieste, oggi con oltre 20 sedi in tutto il pianeta. Si tratta di un centro di eccellenza fortemente voluto da Illy per diffondere nel mondo la “ideologia” del caffè di qualità, tracciabile dal chicco alla tazzina. Tale Accademia è aperta agli imprenditori del settore, ai professionisti dell’ospitalità e a tutti gli appassionati, a cui sono destinate attività formative e di divulgazione ad hoc concepite per contribuire alla crescita e al miglioramento continui della produzione, al benessere delle persone che se ne prendono cura e lo consumano e alla salvaguardia dell’ambiente, lungo tutta la filiera, dai lontani campi tropicali fino alle nostre città. E sempre nel capoluogo giuliano è sorta nel 1994 la società Trieste Coffee Cluster S.r.l., a cui aderiscono gli operatori dell’industria del caffè per valorizzare l’eccellenza delle produzioni e dei servizi e promuovere progetti congiunti volti a stimolare l’innovazione e la crescita dimensionale. La Regione FVG ha altresì attribuito a questa realtà il riconoscimento di Agenzia per lo Sviluppo del Distretto Industriale del Caffè. Originario dell’Etiopia, ottenuto da una pianta delle Rubiacee coltivata nelle regioni tropicali per i suoi semi che poi vengono torrefatti e macinati, il caffè è stato introdotto in America nel 1718, ma l’uso della bevanda in Europa è in voga già dal XVI secolo grazie all’intraprendenza dei mercanti Veneziani, che in seguito con le commedie di Goldoni gli conferiranno anche la consacrazione letteraria: i loci goldoniani che riguardano la bevanda più alla moda nel Settecento sono davvero numerosi, ad esempio L’uomo di mondo, La vedova scaltra, Le femmine puntigliose, La putta onorata, La buona moglie, Il cavaliere e la dama, L’avvocato veneziano, Il padre di famiglia, Il teatro comico, Il contrattempo, Le donne curiose e soprattutto la celeberrina La bottega del caffè. Più tardi sarebbe venuto il teatro napoletano, in particolare con Eduardo De Filippo, a celebrare ulteriormente il caffè come parte integrante e distintiva della cultura popolare partenopea e italiana tout court. Senza dimenticare il ruolo di Milano, dove nel 1764 Pietro Verri aveva scritto nella sua Storia naturale del caffè: “Il caffè rallegra l’animo, risveglia la mente, in alcuni è diuretico, in molti allontana il sonno, ed è particolarmente utile alle persone che fanno poco moto e che coltivano le scienze. Alcuni giunsero perfino a paragonarlo al famoso nepente tanto celebrato da Omero; e si raccontano de’ casi ne’ quali coll’uso del caffè si son guarite delle febbri e si son liberati persino alcuni avvelenati da un veleno coagulante il sangue; ed è sicura cosa che questa bibita infonde nel sangue un sal volatile che ne accelera il moto, e lo dirada e lo assottiglia e in certa guisa lo ravviva“.
Il Caffè si chiamava pure il foglio a cui diede vita un gruppo di illuministi milanesi riunitosi intorno ai fratelli Verri per diffondere le idee illuministe. Ancora oggi a Milano viene periodicamente organizzata una visita guidata ai Caffè storici cittadini, per una passeggiata attraverso il tempo che fa capire il ruolo fondamentale avuto dalla diffusione di questi locali nel determinare i mutamenti sociali e culturali del ‘700, allorché in essi si ritrovava la classe borghese emergente, fremente di idee liberali e cultura innovativa. Insomma, il caffè è la bevanda preferita in tutto il mondo, la più familiare e rassicurante come un abbraccio. C’è chi lo beve per svegliarsi, chi per prendersi un momento di pausa, chi per quel suo sapore unico, dolceamaro come un bacio rubato. C’è chi lo preferisce espresso, lungo, corto, macchiato caldo o freddo, marocchino, con cacao, al vetro come dicono a Roma, decaffeinato, americano, con o senza zucchero, con zucchero di canna. C’è chi lo asapora così, senza girare il cucchiaino, e chi degusta prima la schiuma; chi lo beve in un sorso e chi lo sorseggia lungamente, chi ne fa un’esperienza sensoriale totale, chi lo gusta senza porsi troppi perché. Il caffè rappresenta un fenomeno all’origine di mode e modi di consumo che hanno largamente influenzato i costumi occidentali, i luoghi e le forme di socialità degli ultimi tre secoli, ma esso è anche una commodity di straordinaria rilevanza economica, ovvero una merce a livello mondiale che origina il più alto volume di scambi dopo il petrolio. Tra i maggiori esportatori vi sono: Brasile, Vietnam, Colombia, Etiopia, Guatemala, Messico, Honduras e Uganda. I più forti consumatori pro-capite sono gli scandinavi con circa 10 kg all’anno, mentre gli Italiani non arrivano a superare i 6 kg. Sono 80 milioni le tazzine sorbite ogni giorno nel Bel Paese dove, a differenza che in molti altri luoghi, il caffè viene preferito ristretto, denso e cremoso, ossia espresso. Il caffè nel corso della sua lunga storia si è sempre sposato bene con l’arte, entrando ad esempio in numerosi dipinti: infatti da Zurbaran a Renoir, da Van Gogh a Manet, da Munch a Guttuso, da Lega a Zandomeneghi, da Cezanne a Bonnard, da Hopper a Donghi, sono tantissimi i pittori che hanno rappresentato momenti di convivialità con tavole apparecchiate per colazioni, momenti di pausa dal lavoro, o più semplicemente attimi di vita quotidiana, passati appunto a chiacchierare e discutere davanti ad una tazza. Oggi sono gli stessi produttori che sovente commissionano ad artisti di prestigio il design di tazzine, loghi ed altri oggetti (si pensi, ad esempio, alle collaborazioni di Illy con Robert Wilson, Maurizio Galimberti, Ron Arad, Matteo Thun). Il caffè si è guadagnato parimenti un posto di rilievo nel cinema, in pellicole divenute ormai dei classici come “Coffee & Cigarettes” di Jim Jarmusch (2003), “Pulp fiction” di Quentin Tarantino (1994), “C’era una volta in America” di Sergio Leone (1984), “Bagdad cafè” di Percy Adlon (1987), “Due o tre cose che so di lei “ di Jean-Luc Godard (1967), “Questi fantasmi” di Eduardo De Filippo (1954)
Non mancano nemmeno le canzoni dedicate al caffè, tra cui quelle di Bob Dylan –One more cup of coffee (desire); Ella Fitzgerald – Black coffee, tricky; Blur – Coffee and tv; Mississipi John Hurt – Coffee blues; Garbage – Cup of coffee; Cranberries – Wake up and smell the coffee. Fra le canzoni italiane ricordiamo invece quelle di Alex Britti – 7000 Caffè; Fiorella Mannoia – Caffè Nero Bollente; Franco Battiato – Caffè De La Paix; Gino Paoli – In Un Caffè; Ivano Fossati – Caffè Lontano; Riccardo Del Turco – Cosa Hai Messo Nel CaffèC Roberto Murolo – ‘Na Tazzulella ‘E Caffè. La moda poi non poteva mancare di farsi ispirare anch’essa dalle suggestioni del caffè, adottandone le sfumature di colore (talvolta persino il design dei chicchi o altri elementi tipici riprodotti su abiti e accessori): da Balenciaga a Burberry, da Max Mara a Prada, da Missoni a Armani, da Lanvin a Dior, da Issey Miyake a Vivienne Westwood, le nuance al sapore di caffè questo inverno sono andate fortissimo. Per non parlare delle tinte del make up! E che dire degli stilisti che, sempre più numerosi, decidono di investire in caffetterie di prestigio per diversificare il loro portafoglio di business? “Ah! Come è dolce il sapore del caffè! Più dolce di mille baci, più dolce di un vino moscato”: questo lo cantava niente meno che J. S. Bach (“La Cantata del caffè”).