Il segreto dell’Alta Moda Francese? Melting Pot
Non solo stilisti francesi, ma anche italiani, russi, armeni, spagnoli, giapponesi, belgi hanno dato lustro con il loro savoir-faire alla moda parigina, che adesso rende loro omaggio con una mostra davvero originale in corso al Palais Galliera fino al 31 Maggio. “Fashion Mix. Mode d ‘ici, créateurs d’ailleurs” – questo il titolo dell’evento nato da un progetto del Palais de la Porte Dorée, Musée de l’histoire de l’immigration, con il Palais Galliera, Musée de la Mode de la Ville de Paris – sottolinea attraverso 100 pezzi iconici (abiti, mantelli, cappelli, accessori) come il raffinato know-how d’oltralpe abbia avuto origine dall’interscambio creativo con designer stranieri. Basta pensare a nomi come Charles Frederick Worth, Azzedine Alaïa, Elsa Schiaparelli, Mariano Fortuny, Issey Miyake, Yohji Yamamoto, Cristóbal Balenciaga, Raf Simons… Oltre 370 creatori “d’altrove” vi sono celebrati con le loro performance e una serie di documenti.
Il curatore della rassegna (nonché direttore del Palais Galliera) Olivier Saillard ha spiegato: “Il fondatore e inventore dell’haute couture francese fu Charles Frederick Worth, che era di origine inglese, e questo tipo di incongruenza deve essere applaudito, bisogna andarne fieri”. In effetti, non dobbiamo trascurare che dietro il successo di grandi stilisti tipicamente francesi come Dior, Saint Laurent, Chanel, Gaultier e Lacroix vi sono menti e mani venute da lontane.
Più in generale possiamo affermare che la grandezza dell’haute couture e del prêt-à-porter di Parigi si fonda sulla capacità di accogliere le nuove tendenze e interpretarle in modo speciale. Questa mostra narra dunque un’altra faccia dell’immigrazione, quella di persone che per motivi politici o scelte artistiche si sono trasferite nella Ville Lumière e lì hanno lavorato sapientemente e tenacemente per farla diventare la capitale internazionale della moda.
Giustamente l’allestimento evoca alcuni vecchi mestieri artigianali toccati dal fenomeno dell’immigrazione, come gli atelier di ricamo russi degli anni ‘20 e, più di recente, i laboratori dei calzolai armeni. Oltre ai pezzi fashion emblematici conservati al museo, la mostra propone anche numerose testimonianze d’archivio per ricostruire percorsi migratori individuali: atti di fondazione di maison sartoriali, dossier di naturalizzazione, lista dei rifugiati politici dell’Ofpra (Office français de protection des réfugiés et apatrides), estratti audiovisivi. Come la domanda per richiedere il certificato di nazionalità francese di una certa Elsa Schiaparelli. Era il 1931, e quel nome da allora è indissociabile dalla storia del costume transalpino.
In un momento difficile per l’Europa, turbata da problemi politici ed economici, mentre continuano incessantemente gli sbarchi di migranti dal Sud del mondo e si ingrossano le file di partiti nazionalisti a cominciare dal Front National di Marine Le Pen, la Francia con questa mostra dà una lezione di felice convivenza fra popoli diversi, riconoscendo l’importanza fondamentale del melting pot per il successo della propria moda. Una moda che ha un dna multiculturale, composto da uomini e donne venuti da Madrid come Balenciaga, da Londra come Worth, da Tokyo come Miyake, da Roma come Valentino, da Bruxelles come Simons, da Tunisi come Alaïa, da città piccole o da metropoli, per cui essere nati “altrove” si è rivelato una forza e non una debolezza.
Ha scritto il poeta Gianni Gasparini, “Nel melting pot di voci / fuse insieme agglutinate / nel magma ibrido / delle comunicazioni incrociate / tra inesausti corpi telefonanti / cerco un filo distinto / una gugliata rossa o bianca / poco importa il colore / una parola sola / che spicchi sullo sfondo / così come nel cielo / trasfigurato appare / la prima stella della sera” (Melting pot).
Ecco “il filo distinto” che tesse la stoffa giusta per la moda più alta, l’umile filo capace di rifarci umani nell’incontro con l’altro.