Il valore del tempo nella collezione A/I 2016-17 di Brunello Cucinelli
Lo avevamo intuito da un bel po’.
Lo avevamo sperimentato sempre di più, stagione dopo stagione, anno dopo anno.
Ma ritrovare la certezza del pensiero sotteso ad ogni collezione -anche quella per A/I 2016-17- di quest’uomo così “bravo” nell’esprimere se stesso in ciò che “mette al mondo”, ogni volta ci stupisce e ci interroga. C’è qualcosa -un quid, un tratto, un messaggio scritto- nell’animo di Brunello Cucinelli che ha la capacità di trasmettere armonia in coloro che ne vengono a contatto.
Parte sicuramente da molto lontano, ma sa giungere dritto come un dardo benevolo che viaggia in modo velocissimo e preciso, prendendosi comunque il tempo giusto per farlo.
Già, il tempo. Già…..
Lo attraversa, il suo modo di concepire la moda, e lo rispetta, lo accondiscende, lo ama.
Non lo divora, ma ne fa il suo compagno più saggio.
Gli dà valore, non lo riempie solamente.
Lo riscopre e lo ricopre di quella dignità di cui si sente tanto la mancanza.
Trasfigura il concetto di “horror vacui” e trova per esso valenze preesistenti quasi dimenticate.
Rimette al centro l’idea tanto cara agli antichi dell’ozio “creativo” (di cui il sociologo Domenico De Masi fa ampio elogio e su cui lo storico Seneca fa ampia riflessione), quello in cui, appena “superata” la sensazione della noia, le idee si scatenano e i progetti iniziano a prender forma.
Il respiro, lo spazio, la riflessione: ingredienti primari per mettere in moto la creatività (“Un uomo non è ozioso se è assorto nei propri pensieri; esiste un lavoro visibile ed uno invisibile”, ci dice Victor Hugo).
Via le connessioni, via i marchingegni esagerati, via gli sprechi di vita dopo una certa ora della giornata lavorativa: così funziona nella azienda di Solomeo. E tutto va alla grande.
La vita e il lavoro non hanno bisogno di essere antagonisti, ma sanno prendersi per mano saldamente diventando una medesima e unica “opera d’arte”. Per ottenere la quale e per fruirne pienamente, come afferma Gillo Dorfles in quel suo magnifico saggio dal titolo “L’intervallo perduto”, occorre “la presenza di un intervallo -di un ‘fattore diastematico’, di una pausa, di un between- nel percorso temporale e spaziale degli eventi, delle immagini, dei suoni, delle sollecitazioni sensoriali….”.
Dunque, in uno scenario altrettanto corroborante, si è mostrata ai nostri occhi la collezione per la prossima stagione autunno inverno 2016/17.
Una collezione ricchissima di particolari che, se non visibili al primo sguardo frettoloso, si sono schiusi a poco poco come fanno certe
sorprese inaspettate.
Una donna, vagamente Dandy, che con sicura nonchalance passa dall’ufficio al giardino, dall’aereo alla riva del fiume, dal dovere al piacere.
Una donna che “affonda” le mani nella tastiera e nella terra con il medesimo approccio vitale. Sempre con capacità introspettiva e con vivace intelligenza.
Una donna che “ruba” dal guardaroba maschile fogge da reinterpretare morbidamente e tessuti da ingentilire come solo il suo tocco garbato sa fare (un pizzo, un tulle, una spilla, un plissé, una nota profumata…..).
Una donna che si accende con il rosso dei vini corposi -Borgogna, Bordeaux, Amarone- o dei tramonti infuocati e si smorza coi grigi formali o coi blu tempesta.
Tonalità come “Seta, Miglio, Tortora, Salgemma, Perla, Marmo…..” percorrono la vasta e poliedrica collezione, dalle maglie ai capispalla, dalle gonne agli accessori, dalle pellicce ai raffinatissimi pezzi per la casa.
Il gusto British, rinfrescato e reso più contemporaneo, “attraversa” giacche, mantelle, cappotti. Le rigorose gessature si adornano così di monili baluginanti e le discrete paillettes danno luce alla pseudo-austerità delle flanelle e dei feltri.
Il pied-de-poul gioca con lo spigato, lo jacquard si sposa con i quadrettati più tipici.
La felpa ricopre le sete, il velluto protegge le garze di cachemire, in un alternarsi di sovrapposizioni inedite e fantasiose.
Le lunghezze spaziano e i volumi trascurano la banalità, rimandando ora alle atmosfere di un bistrot parigino, ora a quelle di una campagna scozzese.
Il riaffacciarsi del tailleur evoca rassicuranti periodi e promette simpatiche trasformazioni, mentre l’ampiezza -a volte quasi eccessiva- delle maxigonne fa volare il pensiero portandolo via dalla routine quotidiana e indirizzandolo verso il sogno.
Usciti da questa fucina di delizie e di ottimismo -nucleo centrale della filosofia di Brunello-, ci sono rimaste “attaccate” all’anima le immagini di certe foto d’epoca appoggiate con freschezza sulle mensole sparse qua e là.
Rappresentazioni di momenti di spensieratezza di celebrità o di icone senzatempo -una sorridente Jackie che osserva il mare con il suo Onassis, un giovane Einstein che si diletta con il violino, un concentratissimo Picasso che insegna l’arte del disegno a un bambino, un gruppo di eleganti signori che sfogliano una rivista- o riproduzioni di personaggi dell’antichità come Virgilio con le sue Bucoliche o Lucrezio col suo De Rerum Natura e di scene rinascimentali che inneggiano agli aspetti ludici delle attività legate all’arte a confutazione dell’idea medioevale dell’ozio come padre dei vizi…….
Sostare davanti a una in particolare -raffigurante due persone sedute su una panchina con lo sguardo rivolto verso l’alto- ci ha rimandato a un piccolo -e in tema- libro di Beppe Sebaste (“….autore che, seduto sul ciglio del mondo, si allena a lasciare libera la mente di vagare e divagare…”), intitolato per l’appunto “Panchine”, -verde erba, la copertina!-.
Poco più di un centinaio di pagine per decantare questo mezzo gratuito a disposizione di chiunque voglia posare la mente e le membra. Di chiunque voglia, come suggerisce il sottotitolo, “….uscire dal mondo senza uscirne”. “Luogo di sosta, utopia realizzata, vacanza a portata di mano. Sulle panchine si contempla lo spettacolo del mondo e ci si dà il tempo di perdere -e di guadagnare- il tempo, come quando si legge un romanzo”. In questa “passeggiata da fermi”, metafora perfetta di qualcosa che procede pur senza affrettarsi e che arriva pur senza correre, sta forse il segreto di tutto?
Sta forse “nell’ozio, nei sogni”, come ci sussurra Virginia Woolf, “che la verità sommersa viene qualche volta a galla”?