Il vero lusso tra edonismo e filantropia
Se a dichiararlo sono i principali colossi del lusso mondiale, significa che è davvero realtà quello che fino a ieri sembrava pura utopia: oggi è l’etica il terreno su cui i marchi fondano il loro vantaggio competitivo e la sostenibilità è la carta che assegna ad un’azienda lo status di leader.
Può sembrare un discorso scioccante per chi, nel mondo del lusso, finora ha costruito il proprio prestigio su altri fattori, seppure importanti, come l’esclusività, la tradizione, la selettività. Attualmente parlare di lusso vuol dire dare risposte su questioni capitali quali la diversità biologica o l’effetto serra, le risorse idriche o i diritti umani. La solidarietà è diventata il valore-chiave del business, e molte imprese l’hanno capito da tempo investendo non tanto in mera beneficenza, bensì in progetti che creano opportunità di sviluppo per singoli e comunità.
Il lusso, in pratica, si sta evolvendo sempre più verso la relazione, la partecipazione, la condivisione, rinnegando gli eccessi del passato. Lusso è godersi la vita, spendendo… e spendendosi per gli altri! Per vivere meglio tutti.
Non a caso il titolo della conferenza tenuta a Milano, nel Dicembre scorso, dal colosso pubblicitario Saatchi & Saatchi era “Vero lusso: caviale o agenda senza appuntamenti?”, da cui è emerso che il lusso continua ad essere un mercato in crescita, in cui però le dinamiche sono mutate in modo netto: se in passato erano i beni di largo consumo ad ispirarsi a quelli di alta gamma per apparire più attraenti agli occhi dei consumatori e quindi per spuntare un premium-price, ora – ha provocatoriamente affermato il Ceo di Saatchi & Saatchi Giuseppe Caiazza – “è forse il mondo del lusso a poter trarre qualche elemento di ispirazione dai FMCG-Fast Moving Consumer Goods. Sono loro che da qualche anno hanno aderito con entusiasmo all’inarrestabile passaggio dalla cosiddetta Attention Economy alla Participation Economy, creando un rapporto quotidiano e continuativo con i propri clienti, facilitato dalle tecnologie in continua evoluzione”.
L’accurata ricerca denominata Xploring, condotta da Saatchi & Saatchi in 9 Paesi (Italia, Thailandia, Cina, Giappone, India, Emirati Arabi, Messico, Stati Uniti, Regno Unito), ha fornito alcuni suggerimenti in sintesi ai brand del lusso: di celebrare i valori umani, di guardare meno alle tradizioni del passato, di adeguarsi alle future esigenze abbracciando l’inventiva del settore tecnologico, di fare proprio il concetto di “personalizzazione” e di rendere il desiderio più personale, guardando all’unicità della fattura artigianale. Ma soprattutto di concedere al consumatore la libertà di “godersela”.
Più in particolare, lo studio Xploring ha individuato questi cambiamenti nei 5 miti del concetto di lusso:
1. Da ideale esclusivo a umano inclusivo: da prodotto inaccessibile il lusso deve diventare fonte di valori forti e duraturi. “Le persone sono in cerca di significati non di eccessi sfrenati e gratuiti”.
2. Da tradizione a innovazione: lungi da una “cultura egocentrica come unico intenditore”, il nuovo lusso deve comunicare amore per l’innovazione, apertura verso un mondo in costante evoluzione.
3. Da one-off a one-to-one: la distribuzione limitata e la produzione su misura devono spostarsi verso esperienze personalizzate e più coinvolgenti. ”L’individuo personalizza il prodotto diventando parte attiva, e quel valore aggiunto che parla di te rende il prodotto inimitabile e di lusso”.
4. Dal parlare di sé al creare relazioni: il passaggio del brand dal ruolo di detentore dell’oggetto-capolavoro a quello di creatore di una relazione trasparente ed intima, in grado di creare piattaforme di collaborazione con i consumatori.
5. Da serio a giocoso: è considerato lusso ciò che offre benessere, esperienze divertenti e rilassanti piuttosto che prodotti di prestigio, sofisticati, solenni. ”E’ uno stato mentale, una ricerca di sensazioni, di esperienze gratificanti, e il tempo diventa il vero lusso”.
A corollario di tutto ciò, aggiungiamo gli esiti di una recente ricerca della SDA Bocconi, che ha dimostrato quanto bene faccia anche ai bilanci aziendali l’essere sostenibili. L’indagine – intitolata “Il processo decisionale per la gestione della sostenibilità nella catena del valore delle aziende di moda”, realizzata con il contributo dalla società di progettazione Goldmann & Partners – ha messo in evidenza che le società del fashion potrebbero investire in politiche “etiche” non solo per i benefici sociali, ambientali e di immagine, ma altresì per i vantaggi diretti che ne deriverebbero sulla profittabilità delle imprese stesse.
La ricerca è stata realizzata attraverso interviste qualitative a 100 aziende del settore abbigliamento e accessori con un fatturato superiore ai 100 milioni di euro, sia italiane (35%) sia straniere. I risultati hanno sottolineato l’esistenza di una relazione positiva tra l’indice di sostenibilità e le due misure di profittabilità Roa e Roe (Return on assets e Return on equity), cosicché è ipotizzabile che “più le aziende di moda hanno investito in attività di sostenibilità, maggiormente esse potranno diventare profittevoli”, e che esista “un ciclo virtuoso della relazione sostenibilità-performance aziendale, in cui ogni elemento rafforza e supporta l’altro vicendevolmente”.
Benvenuti filantropi edonisti!