In Fondo alla Moda
Nella moda pare che sia il grande momento dei fondi di private equity, come dimostrano tanti esempi anche in Italia: ci basta pensare a Cavalli con Permira, Versace con Blackstone, Twin-Set con Carlyle, Moncler pure con Carlyle, MCS con Emerisque, che è entrato anche in Industries Sportswear Company (marchi Marina Yachting, Henry Cotton’s, Coast Weber & Ahaus e la licenza 18CRR81 Cerruti).
L’interesse dei finanzieri per il lusso è indubbiamente motivato dal fatto che tale settore, malgrado qualche occasionale battuta d’arresto, è un business con eccellenti prospettive di crescita grazie soprattutto ai mercati asiatici (e non c’è rallentamento cinese che spaventi). Tuttavia va ricordato – come ha giustamente fatto Marco De Benedetti, al vertice del fondo Carlyle in Italia – che la moda è un ambito “molto particolare per un operatore del private equity perché ha degli aspetti soft, come la creatività, molto rilevanti. Non tutti sono adatti a una partership con un fondo”.
Dobbiamo rilevare, in effetti, che mentre i colossi del lusso (si vedano Kering e LVMH), i quali negli ultimi anni hanno effettuato parecchie acquisizioni, tendono ad ampliare il proprio portafoglio con marchi già solidi e affermati, i fondi di private equity sembrano rispondere soprattutto a due esigenze per massimizzare l’investimento: la crescita attraverso l’internazionalizzazione e la ristrutturazione societaria.
Se si guarda al lavoro degli investitori su marchi di notorietà minore (si prenda il caso di Harmont&Blaine), si riscontra che le società oggetto di interesse sono cresciute rapidamente e con profitto, fino ad arrivare però ad un punto oltre il quale da sole non sono riuscite ad andare, per cui si è resa necessaria una struttura aziendale diversa, più managerializzata (oltre a denaro per l’espansione internazionale).
Hanno destato scalpore, in una recente intervista a Bloomberg TV, le dichiarazioni di Tamara Mellon , fondatrice del celebre brand di calzature Jimmy Choo e ora a capo dell’omonima maison Tamara Mellon, a proposito del rapporto tra fondi di private equity e moda. L’imprenditrice ha ammesso che, se potesse tornare indietro, non cederebbe più il suo marchio ad un fondo: per lei i fondi (e Jimmy Choo dal 2004 ad oggi è passato nelle mani di diversi) sono “freddi” e “miopi”, non sono adatti alla moda per la loro visione a breve termine, per la loro eccessiva focalizzazione sui risultati finanziari piuttosto che sull’identità di una griffe.
La Mellon ha quindi spiegato che la moda è sì un business, ma un ruolo fondamentale è giocato dalla passione, dall’emozione che un prodotto è capace di suscitare nel cliente e dal fascino di tutto ciò che ruota intorno a questo mondo. Come darle torto? Ma bisogna aggiungere altresì che, senza fondi di private equity, oggi non esisterebbero più varie società. Ergo, non ci resta che cercare di “riscaldare” un po’ gli investitori.