In guanti di velluto
Il Generale Inverno quest’anno si appropinqua al galoppo, annunciato dalle pungenti brume autunnali e dalle prime spruzzate di neve. Un brivido ci pervade e solitamente finisce per accanirsi sulle nostre mani. Ecco che allora i guanti risultano provvidenziali: bozzoli di tepore, morbidi, avvolgenti e rassicuranti come placente, evocativi di coccole e tenerezze, proposti dalle maison di moda nei materiali più diversi, a cominciare dalle calde lane.
Ma, in realtà, il guanto vanta tradizioni antiche che prescindono dalla mera funzione termo-protettiva.
“Ha gettato il guanto” si diceva una volta di chi osava sfidare a duello qualcuno, il quale a sua volta, se non era vile, non esitava a “raccogliere il guanto”, accettando di battersi all’ultimo sangue. Quelli erano anche i tempi dei ladri “in guanti gialli”, con tratti da gentiluomini, usi a trattare “con i guanti” il loro prossimo, sebbene intenzionati ad alleggerirlo delle sue ricchezze. Guanti, dunque, come emblema di nobiltà d’animo e di costumi, di classe e prestigio: valori e finezze oggi svaniti come le mezze stagioni.
Eppure, qualche cultore dei bei guanti artigianali, di pelle pregiata, specchio di gusto ed eleganza, ancora si trova, pervicacemente convinto dell’importanza di siffatti accessori come segno di distinzione e, pertanto, imprescindibile frutto di manifatture pregiate.
Così, anche oggi il guanto di fascia alta conserva una sua nicchia di mercato precisa (specie nell’ambito del “su misura”) configurandosi come tratto di stile, indicatore del carattere di chi lo indossa ben conoscendo il linguaggio della moda e le sue declinazioni. In effetti, dal cappello alla cravatta, dalla borsetta agli occhiali, dai gioielli ai guanti, sono sempre più le piccole cose, i dettagli, che mettono l’accento e valorizzano un certo modo di essere, evocando atmosfere ed echi di suggestione, forieri di originali interpretazioni della vanità sia maschile sia femminile.
Lettera credenziale di messi e ambasciatori, pegno di un obbligo personale, simbolo di onore e seduzione, il guanto non è allora solo uno strumento di protezione della mano, ma anche una parola in codice, che assume significati diversi in ogni epoca.
Consapevoli del suo valore espressivo, Egizi, Greci, Romani, Longobardi, utilizzarono questo accessorio come vessillo di autorevolezza morale e dignità sociale. Il Medioevo ne fece prerogativa prestigiosa per l’aristocrazia ed il clero. La Corte francese lo rese poi un oggetto di culto, tanto che le manifatture d’Oltralpe nel XVII secolo furono le migliori in assoluto. Nel Settecento, sulla scia di Napoleone Bonaparte, l’arte del guanto venne portata in Italia e nel 1737 il raffinato ed illuminato Ferdinando IV di Borbone chiamò da Vienna a Napoli il più grande maestro guantaio del tempo: Luigi Balastron.
Tuttora la città partenopea può vantare la leadership mondiale nella produzione di guanti in pelle di primaria qualità, che investe materiali, creatività del design e soprattutto lavorazione (a ciclo completo, dalla concia alla rifinitura finale, passando per la tintura).
Ogni guanto, in tal modo, è il risultato di una lunga serie di operazioni manuali, ciascuna affidata alle sapienti mani di sommi maestri. Ed anche quando interviene l’ausilio di macchine speciali, si rendono pur sempre indispensabili l’occhio, la cura e la passione dell’artigiano esperto, portatore di una tradizione unica che deve essere preservata e tramandata per non venire dispersa nel mare magnum della globalizzazione.
Oltre a commercializzare i modelli con propri marchi, i grandi guantai napoletani collaborano con stilisti e aziende di moda sia nell’haute couture sia nel prêt-à-porter, vestendo innumerevoli mani celebri all’insegna di un antico prestigio.