In quale forma?
E’ trascorso appena un mese dai “bagordi” alimentari messi in atto durante le festività. E forse non abbiamo ancora ripreso la “giusta via”.
Tra poco, pochissimo, occorrerà riprendere in mano tessuti fluenti, capi leggeri, colori spietatamente chiari. Che non nascondono nulla.
Che fare dunque per ovviare alle trasgressioni da cui, nel periodo lasciato alle spalle, ci siamo fatte sedurre? Ci si riferisce con ciò a quei piccoli e grandi peccati di gola, quelle piccole e grandi pigrizie, quei piccoli e grandi desideri di dare soddisfazione, oltre alle papille gustative, anche agli occhi e all’odorato.
Difficile in effetti, per chi era in montagna, rinunciare a quelle fantastiche fette di torta alte una spanna servite con vino rosso dolce e fumante in malghe disperse tra i boschi.
Impossibile per chi -al contrario- era al mare, dire di no alle specialità da forno salate così condite e trasudanti olio di altissima qualità.
Frustrante per chi girovagava per città d’arte vicine o fra atolli sospesi in acque lontanissime, non assaggiare le leccornie locali così diverse, così caratteristiche e così introvabili una volta rientrati a casa.
“Semel in anno licet insanire”, afferma una nota locuzione latina che generalmente veniva usata in riferimento al periodo di carnevale, ma pare che, da un po’ di tempo in qua, si “insanisca” tutto l’anno. A detrimento non solo della linea…….
Ebbene, dopo una trentina di giorni spesi a seguire suggerimenti e bombardamenti che ci arrivano da ogni parte riguardanti diete, movimento, indirizzi di palestre esclusive e ricette di beveroni indicibili, indicazioni di corsi di auto-disciplina alimentare e promesse di risultati irrealizzabili, illusioni piene di frivolezze esagerate, fuorvianti e sicuramente poco educative per chi è ancora “in divenire”……….ebbene –ripetiamo-, cosa possiamo dire noi, noi che parliamo di moda, di una moda che ora, tra l’altro, volge lo sguardo anche altrove e mostra un volto più sobrio e pacato del solito? Cosa possiamo consigliare per porre rimedio a “morbidi” regali che vorremmo volentieri “riciclare”?
Potremmo proporre di sfogliare cataloghi d’arte figurativa e di sostare compiaciute davanti alle tonde donne di Rubens, di Botticelli, di Botero. Così femminili, piene, belle. O, banalmente, di acquistare una maglia con le maniche a pipistrello e un pantalone non propriamente a sigaretta. O ancora, di togliere la cintura a un cappotto che solitamente strizzavamo -e che ora invece otticamente allarga il puntovita- e di aggiungere una sciarpa che verticalizzi la silhouette “perduta”.
Potremmo indicare che il tipo emaciato e nevrotico è fuori moda e che l’interesse sta virando verso figure decisamente più simili ad Anita Ekberg vista con occhio felliniano, piuttosto che ad una anacronistica e inarrivabile, se pur meravigliosa, Tilda Swinton (chissà se la sua -magari apparente- freddezza deriva dal fatto di essere figlia di un generale?).
Potremmo ricordare che quest’anno il vestito la farà da padrone e che, come è ben noto, è molto più facile mascherare piccole ridondanze con un abitino, magari “lento”, che con uno spezzato fasciante. Il primo, inoltre, dona sicuramente di più a un corpo curvilineo che a uno scheletrico. Derek Lam, direttore creativo di Tod’s, è un accanito sostenitore di questa filosofia della lentezza, della morbidezza, necessaria secondo lui in tutti gli aspetti creativi che portano alla realizzazione di cose –e non solo. In una intervista ha dichiarato con grande orgoglio: “Non amo niente di ciò che arriva veloce e se ne va velocemente”. Serve anche sostare.
Potremmo dire tante altre cose. E altre. E altre ancora……………..……Ma ci fermiamo. E focalizziamo la nostra attenzione su un piccolo ma efficace antidoto per coprire e per “occultare”. Benignamente, è chiaro.
Si dice solitamente che l’eleganza tout court consista nel realizzare la leggerezza cercando di mostrare il meno possibile lo sforzo fatto per raggiungerla. Sforzo che, a volte, serve. Sforzo lecito, però, senza accanimento; attuabile, concretizzabile.
Siamo rimaste sicuramente tutte quante disturbate dalle dichiarazioni fatte da alcune donne (età media 25 anni) intervistate presso un centro dell’Università inglese del West England qualche mese fa. L’indagine riportava il desiderio di molte di “barattare” anni –“ANNI”- di vita pur di ottenere un fisico snello. O di rinunciare a “un po’” di salute, per indossare capi improponibili. O di sacrificare qualcosa di “pesante” sull’altare della forma fisica. È vero, spesso alla base –oltre a una chiara irragionevolezza- c’è anche una patologica e distorta forma di dismorfofobia, vale a dire l’incapacità di vedere “per bene” il proprio aspetto esteriore. Ma dov’è il limite? Ne vale la pena? Siamo diventate così vergognosamente scellerate?
Occorre dare al peso il “giusto peso”. E lavorare magari un pochino “sotto” l’abito.
Ed eccoci all’artificio. Sì, tra la pelle e il vestito ci può stare un piccolo trucco, può insinuarsi un antico rimedio, senza controindicazioni di sorta. Gioco scherzoso -ma non troppo- usato abbondantemente dalle nostre mamme, dalle nostre nonne e via via, a ritroso nel tempo. Stiamo parlando di guainette, corsetti, body contenitivi, collant rinforzati non solo nei talloni e nelle punte. Tutta “roba” prepotentemente tornata alla ribalta. Un segreto che, con saggezza e giusta misura, aiuta e conforta, modella e delinea, assottiglia e snellisce; ricacciando quell’idea che -in certi “anni bollenti”- mostrava e demonizzava di questi capi il lato costrittivo, colpevole di togliere la libertà al corpo emancipato di esprimersi totalmente.
Non più, ora. I “cedimenti” ammettono la loro presenza e “cedono” umilmente all’avvento di questa “vecchia novità” che, ossimoro per ossimoro, aggiungendosi, toglie. Miracolosamente o, più frequentemente, con discreta complicità. Certo, non più stecche, gancetti-trappola, lacci rigidi, elastici-corazza. A sostituzione, tessuti serici, cerniere invisibili, chiusure a strappo, e tulle, e stretch, e jersey.
Le rotondità, con questa tipologia di camouflage soft, ringraziano.
La femminilità, con rinnovata grazia, riprende il suo posto. E la sua natura.
E il corpo può reinventarsi, rimodellarsi, senza ricorrere ad espedienti invasivi o definitivi dai quali è spesso impossibile tornare indietro e dei quali (lo leggiamo tutti i giorni sui giornali), è invece facilissimo pentirsi. Scolpirlo nell’intimo, “con” l’intimo, in poche parole. Grazie a qualcosa che sostenga senza ferire, che appiattisca senza eliminare, che sottolinei senza incidere…..la pelle. Difendendola e accarezzandola. Proprio in questi giorni, alla Triennale di Milano, è in corso una mostra multidisciplinare che, per la prima volta, si indirizza “in toto” a questo involucro “isolante” che ognuno di noi si porta addosso, con un approccio serio e culturale. E, la primavera scorsa, la stessa Triennale ha ospitato un’esposizione dedicata alla corsetteria e alla sua capacità di modificare “prodigiosamente” e con stile l’esuberanza di certe parti corporee. La bellezza della semplicità. La semplicità della bellezza. E l’impegno di ricordarlo –in entrambe le situazioni.
Ecco, a noi viene da dire che questo gioco del “sotto/sopra” può davvero conquistare. Perché è fantasioso, eclettico. Non si ferma mai a staticizzare un aspetto della figura, ma sottolinea proprio ciò che in quel momento interessa far risaltare. Magari proprio a partire dal “veniale” capriccio di voler indossare una gonna che esalta una vita da vespa che proprio così sottile non è più (e che vedremo, causa pantaloni a vita bassa, sempre meno, anche nelle giovanissime). O a partire dal perdonabile sfizio di rientrare in una camicia ripescata dal baule dei ricordi e che non si riesce più ad allacciare causa una zip laterale impietosa con i sopraggiunti centimetri e i diabolici bignè.
Sì. Perdere una taglia si può. Anche senza bisturi, anche senza sfinimenti, anche senza mortificazioni inutili. Basta non perdere la testa, e l’ironia, e la voglia di rimanere se stesse.
Ero appena adolescente quando mio padre, un giorno, lesse a mia madre e a me un trafiletto preso non so da quale quotidiano. Si trattava di una riflessione espressa da un giornalista su pensierini “graziosi” pronunciati da alcuni bambini in occasione della festa della mamma. Ne venivano elogiati parecchi, ma a me ne è rimasto impresso uno in particolare…..
“La mia mamma è grassa e lei, per questo, non è molto contenta. A me invece piace tanto, perché così ho più mamma “da volerle” bene”.
A volte basta una frase come questa per cancellare l’ossessione di un chilo di troppo. O per guardare con nuova tenerezza un odiato “cuscinetto”.
Beh, Simona non posso che essere d’accordo, soprattutto il finale che è proprio gratificante per noi rotondette menopausate, che anche volendo, non ce la fanno a ritornare alla 42 dei diciotto anni.
Il fatto di accettarsi ti porta indubbiamente ad essere più sicura, disinvolta e piacevole a tutti.
I chili in più non si vedono se non li fai notare e l’occhio scivola con grazia e con gusto davanti a una conversazione spiritosa e sagace.
La parola è inscindibilmente l’arma vincente per sedurre e chi non la possiede resta comunque una bella statua difficile da abbraciare.
Bacio en