Indimenticabile “Chic Sciù Scia”
Lo stile spettacolare ed onirico, che fece furore negli anni ’60, del “sarto delle dive” Emilio Schuberth, italiano (anzi napoletano) malgrado il cognome, torna a rivivere, oltre che negli abiti, in una trilogia di profumi lanciati all’ultimo Cosmoprof di Bologna dalla maison che reca il suo nome, rivisitando la sua nobile storia. Si tratta di Coquillage, Taffetas e Schu.
Quest’ultimo porta la denominazione di un’essenza di grande successo negli anni della Dolce Vita (in effetti comparve pure nel celebre film di Fellini), distillata per la prima volta nel 1955 dalla Adam di Parma, a cui Schubert si era rivolto per la produzione delle sue fragranze. La “mission”, come si direbbe oggi, era quella di ammaliare il senso dell’olfatto e – perché no? – del gusto, così come la qualità della stoffa seduceva la vista, il tatto, perfino l’udito con i suoi fruscii, in una sorta di sinestesia polisensoriale.
Concepiti per la donna di classe moderna, i nuovi profumi di Emilio Schuberth, riprendono anche nell’immagine grafica il fasto del passato, quando era in essere la proficua collaborazione col talentuoso maestro della comunicazione René Gruau (egli pure italiano a dispetto del nome), che aveva già espresso la sua creatività per il Dior del New Look con segni slanciati evocativi delle pennellate di Toulouse-Lautrec. In effetti, Schuberth può ben definirsi un sarto-pittore (egli stesso si proclamava “il Picasso degli anni Cinquanta”), sensibile all’estro del sogno per fare di ogni donna una creatura unica e distintiva, così come unico e distintivo è ogni quadro.
Soprannominato “Chic Sciù Scià” (per l’eleganza dei suoi abiti, per il glamour del suo profumo più famoso, per l’amicizia con Soraya), Schuberth, nato nel 1904 e scomparso nel 1972, fu uno dei maggiori interpreti che occuparono la scena della moda italiana ai suoi albori, partecipando il 12 Febbraio 1951 alla storica passerella fiorentina di Palazzo Pitti e poi nel 1953 contribuendo a fondare il Sindacato Italiano di Alta Moda assieme alle sorelle Fontana, Alberto Fabiani, Vincenzo Ferdinandi, Giovannelli-Sciarra, Mingolini-Heim e pochi altri.
A lui “arbiter elegantiae” si deve una sorta di “rivoluzione copernicana” nel campo della moda grazie ad un ribaltamento di ottica nei confronti del ruolo del sarto, non più operoso artigiano dietro le quinte, ma artista creativo dello stile vestimentale (entrò in prima persona nello show-business recitando nel ruolo di se stesso in “Era lui”¦ Sì! Sì!” con Sophia Loren, per la quale disegnò molti abiti ispirandosi ad Eleonora Duse, e prendendo parte al famoso programma televisivo “Il Musichiere”). Egli – come ha giustamente riconosciuto Beppe Modenese – “capì per primo l’importanza della comunicazione della moda attraverso l’eccentricità e la bravura. Esaltava la donna con il senso del colore e dello spettacolo”. Che dire, in effetti, davanti agli aristocratici barboncini, dipinti nei colori degli abiti, che Schuberth faceva sfilare a fianco delle modelle? Se possiamo riconoscere un suo degno erede in uno stilista odierno, dobbiamo forse citare Valentino, che fu appunto suo allievo.
Quella di Schuberth, del resto, è una donna internazionale, iconica degli anni ’50: formosa ma con vita stretta, ricca ma inguaribilmente romantica. Le sue clienti furono soprattutto principesse e attrici, da Soraya (per cui si dice che realizzò un intero guardaroba regale nel giro di una notte) a Maria Pia di Savoia, da Rita Hayworth a Brigitte Bardot, da Ingrid Bergman a Silvana Mangano, per citare solo alcune delle tante che passarono per il suo atelier capitolino soprannominato “la quinta basilica di Roma”. Ma tra le sue creazioni più apprezzate vi furono pure le semplici vestagliette che fece indossare a Gina Lollobrigida in pellicole come “Pane, amore e fantasia”, “La provinciale”, “La romana”. Del resto l’attrice stessa dichiarò: “Fu lui a farmi diventare la Lollo nazionale, con il vitino da vespa e il seno all’italiana”.
In realtà, da buon napoletano, egli amava vestire le donne come statuine di Capodimonte settecentesche, con i corpini avvitati, ampie sottane a ruota, petto in fuori. E ancora oggi si ricorda il suo stile per certi dettagli raffinati come le camicette bianche con gli jabot di pizzo e le gonne tessute a prato, con tulle e lustrini.
L’odierna moda della maison Schuberth, di cui è direttore creativo la brava Elena Perrella, pur innovando a livello di tessuti, tagli, toni stilistici, cerca sempre di conservare e valorizzare i tratti distintivi del suo fondatore, che si riscontrano in particolari importanti come i preziosi ricami, i fiocchi e le stampe fedeli ai motivi originali, tutti realizzati rigorosamente in Italia (la sede commerciale è strategicamente ubicata a Milano) con una sapiente combinazione di materiali e tecniche all’insegna del vero lusso.
Nella memoria della moda italiana Schuberth resta dunque un protagonista imprescindibile, degno forse di una miglior riscoperta, perché avrebbe ancora molto da insegnarci.
Vivere a quei tempi dev’ essere stato più che emozionante.. l’iniziazione delle grandi organizzazioni del passato che con il tramandare di padre in figlio sono riusciti a creare il vivere l’affascinante mondo della Moda di oggi. Ciò che non è più tornata è l’emozione del pubblico di fronte a tanto fascino, la vista di una passerella che ogni volta riusciva a rappresentare le grandi e d eccezionali capacità dei nostri stilisti del momento.. oggi tutto torna in modellature riviste ed aggiornate al nostro tempo e la gente non è più emozionata se non soltanto curiosadi cosa farà sfilare questa volta il proprio stilista di riferimento.. ma come può non emozionarsi, forse lo stile di vita di oggi ci ha tolto l’emozione per riuscire a vivere profondamente ciò che in un’altro momento della vita avremmo fatto salti mortali per riuscire a vivere, perchè ci saremmo sentiti addosso quella grande emozione…… Marisa Teta