Inno alle gioie
Percorrendo, anche solo mentalmente, l’Italia, possiamo parafrasare un celebre detto: “Paese che vai, gioielli che trovi”. In effetti, sono molte nella nostra nazione, anche senza considerare i distretti più noti, le comunità che da tempo fondano la loro economia e la loro cultura sui preziosi.
Mettiamoci, allora, in viaggio, per scoprirne le caratteristiche più curiose.
Prima, però, va ricordato che la gioielleria – ovunque ed in ogni epoca investita di un prestigio particolare e di un onere economico elevato – è stata sempre considerata un’arte aulica, così come si racconta nella leggenda medievale di S. Eligio, un orefice di corte che per la sua onestà divenne appunto patrono della categoria. Fin da Omero, in verità, le opere di gioielleria sono molto apprezzate, anzi il poeta greco definiva gli orefici i soli artisti in grado di produrre oggetti al culmine dell’ingegnosità tecnica e della perfezione stilistica.
In ogni epoca il gioiello è realizzato non solo per creare ricchezza, ma anche per donare gioia e felicità. Ciò che caratterizza gli artefici popolari è il fatto di non abbandonare mai i loro repertori tradizionali, anche quando essi apprendono nuove forme decorative. Ne offre un esempio la Lombardia, che vanta radici millenarie in questo campo: tesori longobardi sono conservati nel Duomo di Monza, nella Basilica di Sant’Ambrogio, in alcune chiese di Bergamo e di Chiavenna.
L’arte orafa raggiunse a Milano il suo pieno sviluppo nel XV secolo. Ed oggi, accanto all’attività, dei gioiellieri milanesi, va segnalata la nascita di un centro di lavorazione a Mede Lomellina, sotto l’influenza della vicina Valenza Po. Per quanto riguarda l’argento, va segnalata la produzione in stile degli esperti cesellatori di Como, di Cernobbio e di Fino Mornasco.
Anche il Trentino ha tradizioni antiche: uno splendido reliquiario gotico è conservato nel duomo tridentino, mentre un esemplare rinascimentale di tabernacolo cuspidato con pinnacoli e nicchie si può visitare nella chiesa di Santa Maria Maggiore. Oggi i maggiori centri di produzione sono, oltre al capoluogo, a Cavalese, Mattarello, San Martino di Castrozza e Pieve Tesino.
Numerose ed antiche le testimonianze di arte orafa custodite nei musei del Veneto, particolarmente in quello di Adria: piastrine votive preistoriche, monili, braccialetti, fibule e collane di epoca etrusca e romana, gioielli di età barbarica, che ci parlano tutti di una cultura senza tempo. Fra tutti, basti accennare al tesoro della Basilica di San Marco, uno dei più ricchi della cristianità, per oggetti di oreficeria bizantina, soprattutto gemme e smalti.
Venezia, in effetti, vantava un’antica scuola orafa, con sede nei pressi della Chiesa di S. Stae, famosa per un particolare tipo di maglia chiamato “Manin”, con cui si fabbricavano orecchini, anelli, spille in foggia di farfalla e di libellula. Orafi e cesellatori fiorirono anche a Padova, dove tuttora si conservano splendidi calici, reliquiari ed evangelari del “˜400 e “˜500; altri a Treviso, Verona e Vicenza.
Pure l’Emilia annovera una storia secolare nella gioielleria sacra: il massimo orafo del Trecento fu Jacopo Roseto, autore del reliquiario del capo di San Domenico nell’omonima chiesa di Bologna. Stupendi anelli concepiti nel cosiddetto “stile bolognese” sono ancora creati in alcuni laboratori della città, dove allo stile tradizionale ben si coniuga il design moderno.
La storia dell’arte orafa toscana è assai ricca e complessa. Basti pensare che già nel 1400 Firenze dominava incontrastata su tutta la regione e molti dei suoi artisti più famosi iniziarono la loro carriera proprio come orafi, per poi passare alla pittura, alla scultura, all’architettura: dal Ghiberti al Brunelleschi, dal Verrocchio al Pollaiolo, da Leonardo al Cellini.
Lo smalto costituisce uno degli elementi più importanti della decorazione orafa fiorentina e ne documentano la diffusione i tanti prodotti delle botteghe artigiane esportati ovunque. Anche oggi Firenze è una capitale dell’artigianato e della bigiotteria, mentre ad Arezzo ogni anno si lavorano centinaia di tonnellate d’oro per preziosi manufatti.
Insolita, invece, è la vicenda delle Marche, la cui tradizione orafa risale addirittura ai Romani, ma ebbe l’impulso più forte nel Medioevo e nel Rinascimento, finché una lenta decadenza iniziata nel “˜900 non ne ha cancellato le tracce. Ma negli ultimi anni, grazie ad alcuni studenti e docenti degli Istituti d’Arte di Pesaro, Fano, Ancona e Macerata, l’attività è parzialmente ripresa.
L’Abruzzo, d’altro canto, deve l’origine e lo sviluppo della produzione orafa ai monaci Benedettini di Montecassino, che già nel Medioevo la spinsero a livelli tecnici e stilistici altissimi. La lavorazione si basa prevalentemente su una filigrana purissima di eccezionale fattura: un monile tipico è la “presentosa”, un medaglione d’oro o d’argento che le donne portano al collo, il cui nucleo centrale è formato da due cuori trafitti da una freccia. I maggiori centri della produzione orafa abruzzese sono: Pescocostanzo, Sulmona, Guardiagrete, Scano.
Nel Lazio oggi si assiste ad una riscoperta delle lavorazioni artigiane che tendono a superare per qualità e finezza esecutiva la stessa produzione industriale. Tra le città più attive ricordiamo Albano Ariccia, Fiuggi, Frosinone, Mentana ed anche Roma, dove in alcuni viali intorno a Campo dei Fiori si possono incontrare parecchi laboratori. Capolavori di arte orafa del passato si conservano in quasi tutte le chiese della capitale, nella cattedrale di Gaeta ed in quella di Anagni.
La gioielleria napoletana è da intendere soprattutto come arte di corte. Maestri orafi ed argentieri operavano solo per il sovrano e la reale famiglia, per il clero e per potenti feudatari, per banchieri e ricchi mercanti. Fu solo con l’affermarsi, alla fine del “˜400, della Corporazione che i maestri orafi accrebbero la loro clientela attraverso lo sviluppo del commercio e l’estendersi degli interessi borghesi.
E’ difficile parlare di gioielli in Campania senza accennare al corallo. Simbolo della fecondità e già impiegato dai Romani come amuleto, salì in auge nel 1500 per merito dei Siciliani di Trapani e Messina, ma dal 1800 il predominio assoluto lo acquistarono i Napoletani, allorché il marsigliese Paolo Bartolomeo Martin fondò una fabbrica nel bel Palazzo Caracciolo. Inoltre, nel 1879 venne attivata una Scuola d’Incisione del corallo, tuttora operante col nome di Istituto Statale per l’Arte del Corallo e l’Oreficeria.
Infine, la Calabria si distingue per una raffinata tradizione manifatturiera, che vede dominare la filigrana d’oro e d’argento, le medaglie, le catene, tutte destinate all’ornamento femminile. Tra i centri principali menzioniamo: Catanzaro, Crotone e Castel Silano.
Buon viaggio a tutti, dunque, nel Belpaese delle gioie!