Italia preziosa
Non tutti sanno che in alcuni musei italiani è possibile ammirare collezioni orafe antiche e moderne di grande pregio e importanza storico-culturale. Per cominciare, al Museo Archeologico Nazionale di Napoli è esposta una magnifica raccolta di gemme incise appartenuta all’illustre casato fiorentino dei Medici. Iniziata da Cosimo il Vecchio verso la metà del XV secolo, la ricca serie venne poi ampliata dai suoi figli e nipoti, in particolare il celebre Lorenzo il Magnifico. Le opere glittiche medicee risultano circa una sessantina nell’inventario del 1456 e 76 in quello del 1492, redatto dopo la scomparsa di Lorenzo. Tra le più celebri (molte delle quali andate perdute) si ricordano la corniola raffigurante Apollo, Marsia e Olympos, per la quale il grande Lorenzo Ghiberti realizzò una montatura intorno al 1428; il superbo calcedonio con Diomede e il Palladio; la corniola con il Carro di Fetonte; l’intaglio con Eros che guida una biga e quel capolavoro assoluto che è la cosiddetta Tazza Farnese. In proposito, va precisato che nella collezione Medici entrarono numerosi pezzi della straordinaria collezione del cardinale Pietro Barbo, divenuto papa nel 1464. La collezione Barbo era di proporzioni vastissime: già nel 1457 vantava 821 pietre incise, di cui 243 cammei e 578 intagli. Alla morte del Barbo (1471), il nuovo papa Sisto IV Della Rovere fece probabilmente trasferire la raccolta del suo predecessore in Castel Sant’Angelo appropriandosene e in parte alienandola tramite il banco Medici Tornabuoni. Lorenzo il Magnifico, quando nel 1471 si recò a Roma in veste di ambasciatore della Repubblica fiorentina, ricevette in dono dal pontefice varie antichità, tra cui appunto il favoloso calcedonio denominato in seguito Tazza Farnese. L’originaria provenienza delle gemme antiche era assai varia e talvolta molto incerta: probabilmente alcune erano state rinvenute nelle catacombe e nei cimiteri romani; altre erano giunte dalla Grecia e dal Medio Oriente tramite i Crociati dopo il sacco di Costantinopoli del 1204 oppure grazie a mercanti veneziani; altre ancora erano state importate dai profughi greci in fuga verso Occidente dopo la caduta di Costantinopoli ad opera dei Turchi nel 1453. Attraverso varie peripezie ereditarie la collezione passò ad Alessandro Farnese nella seconda metà del ‘500 e quindi confluì nell’immensa collezione farnesiana di tesori d’ogni epoca e tecnica. Poi, nel 1731, il tesoro finì nelle mani di Carlo Borbone e nel 1735 fu trasferito a Napoli. Finora sono state individuate 23 gemme incise provenienti dallo “scrigno” di Lorenzo il Magnifico, tutte custodite al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Risalendo dalla Campania alla Toscana, vogliamo segnalare ora i cosiddetti “Ori di Siena”, con la premessa che nel XIV secolo in questa città fiorì un’oreficeria straordinaria la quale, al pari della scultura e della pittura (per cui basta citare i nomi di Duccio di Buoninsegna, Simone Martini, Pietro e Ambrogio Lorenzetti), riuscì non solo a competere con l’arte fiorentina, ma arrivò ad esercitare un’influenza fondamentale sull’evoluzione della cultura europea. L’abilità artistica dei maestri toscani ed il loro eccezionale senso decorativo li resero unici nel loro genere. Gli artigiani senesi si distinguevano soprattutto per l’innovativa tecnica dello smalto traslucido: in effetti cominciarono a lavorare il metallo prezioso a bassorilievo finissimo, in cui le parti erano operate in negativo (“a figure risparmiate”, cioè lasciate in rilievo nel metallo), creando così perfette concavità dove venivano colati i colori degli smalti; questi a loro volta potevano essere dipinti ulteriormente, di modo che si venivano ad ottenere vere e proprie scene istoriate. Gli oggetti realizzati con tale metodo incontrarono un favore particolare in Francia, dove l’uso di questo tipo di pasta vitrea trasparente si sviluppò e diffuse enormemente.
Il pioniere nell’utilizzo di siffatta tecnica è considerato Guccio di Mannaia, il quale avviò una florida bottega in grado di sfornare opere di assoluto pregio, in cui veniva lavorato soprattutto l’argento. Il più antico esemplare del genere è il calice prodotto da Guccio per il pontefice Niccolò V e conservato nella basilica di San Francesco ad Assisi. Inoltre a Siena, per la prima volta in Italia, venne applicata l’idea tipica del Nord Europa di costruire complesse architetture gotiche in scala ridotta con ori ed altri metalli preziosi, decorate da veri e propri cicli pittorici a smalto nelle membrature. L’esempio più celebre di tale arte è senz’altro costituito dal cosiddetto Reliquiario del corporale del Miracolo di Bolsena, opera di Ugolino di Vieri, che lo realizzò per il Duomo di Orvieto tra il 1337 e il 1338. Questa preziosa teca, di dimensioni consistenti (alta 139 cm), è eseguita in oro, argento, smalto graffito e sbalzato. Fulgido di colori brillanti in cui domina la tonalità del blu, esso richiama nella forma a cuspide la facciata dello splendido Duomo gotico, ed è decorata da magnifici smalti dipinti. Un altro gioiello della scuola orafa senese del XIV secolo è il Reliquiario della testa di San Galgano databile al periodo 1270-1280. Tale capolavoro, attribuito all’orafo Bino Bini, fu realizzato con rame ed argento dorato, sbalzato e cesellato, e raffigura un tiburio ossia una struttura che racchiude una cupola al suo interno (altezza: 101 cm) con tanto di contrafforti e pinnacoli, tra i quali sono collocate le “Storie di San Galgano” e figure di santi a rilievo. Il reliquiario, la cui forma evoca la pietra in cui si conficcò la spada del santo, dal 1977 è conservato nella prepositura di San Michele a Chiusdino (SI).
Tornando a Sud, dobbiamo assolutamente citare gli “Ori di Taranto”, ovvero gli eccezionali preziosi manufatti appartenenti ad un corredo funerario di epoca magno-greca (sec. IV – I a.C.), emersi da scavi archeologici del 1912, oggi esposti al Museo Archeologico Nazionale di Taranto (MARTA). Si tratta di orecchini, collane, diademi, ornamenti vari indossati dalle donne e rinvenuti nelle loro tombe; di grande rilievo sono l’orecchino a navicella con lavorazione in filigrana, il diadema della tomba degli ori di Canosa con una straordinaria decorazione a motivi floreali, la teca in argento a forma di conchiglia, oggetto raffinatissimo lavorato a sbalzo, e piccoli oggetti d’uso comune quali spilloni, specchi e scatole porta-trucco.
Un vecchio saggio affermava che per conoscere un popolo bisogna conoscere i suoi cimiteri. Ebbene, attorno a Taranto una vasta necropoli ha restituito i resti della grandezza che fu. E di fatto il MARTA deve in gran parte a quelle tombe la sua ricchezza. A cominciare proprio dai magnifici ori che rivelano tecniche di lavorazione le quali già 2300 anni fa avevano poco da invidiare a quelle odierne.
A questo punto, risaliamo a nord, facendo tappa a Milano, dove al delizioso Museo Poldi Pezzoli si trova la più importante collezione italiana di orologi. Qui all’inizio degli anni ’70 era stata approntata la Sala degli Orologi per ospitare la prestigiosa raccolta donata da Bruno Falck, che andava ad aggiungersi ai 19 mirabili modelli acquisiti dal “padrone di casa” Gian Giacomo Poldi Pezzoli. Col tempo, grazie ad ulteriori lasciti, si è andato costituendo un patrimonio eccezionale che oggi vanta oltre 250 esemplari, senza contare i 200 e passa orologi solari e meridiane collezionati dal celebre architetto Piero Portaluppi. Inoltre sono presenti una settantina di chiavi di carica. Tra i pezzi di maggior pregio esposti nel Museo milanese si annoverano i primi orologi da tavolo e da persona realizzati in epoca rinascimentale e poi curiosi automi tedeschi, orologi smaltati barocchi francesi, orologi notturni italiani e altri deliziosi segnatempo che vanno dal Settecento francese e inglese all’Ottocento svizzero. Grazie alle nuove tecnologie, oggi i visitatori possono assaporare tutto il fascino di questi esemplari: un’app touch screen offre infatti un approccio che è anche emozionale, porgendo una visione degli oggetti a 360 gradi; ad esempio, è possibile ammirare il Carro di Diana (un meraviglioso automa tedesco del 1610) che procede al giusto ritmo, la sveglia a candela che si carica come una pistola, l’orologio che si illumina al buio, oppure ascoltare il suono del “robot” barocco che batte le ore con il tallone.
Infine, ci portiamo a Roma, dove nel quartiere Appio, in un semplice appartamento, è allestita la “Jewel House”, un autentico museo di strepitosi gioielli… tutti rigorosamente falsi. Si tratta, infatti, delle creazioni esclusive del grande attore e artigiano orafo Nino Lembo per il cinema, l’opera, il teatro di prosa, la televisione. Vi si possono ammirare le splendide collane etniche della “Medea” di Pier Paolo Pasolini indossate da Maria Callas o la corona di Ludwig II di Baviera calzata da Helmut Berger nel film di Luchino Visconti, così come le gemme, gli anelli, i bracciali, le parure, i diademi, le decorazioni più varie utilizzate in film celebri come “La Traviata” di Franco Zeffirelli, “Casanova” di Federico Fellini, “Amadeus” di Milos Forman, “Shakespeare in love” di John Madden, per arrivare alla più recente “Marie Antoinette” di Sofia Coppola. E poi non mancano i gioielli sfoggiati dalle “mitiche” gemelle Kessler nei balletti di “Studio Uno”, né quelli realizzati per la “Tosca” di Luc Bondy al Metropolitan di New York o per il serial televisivo canadese dedicato ai Borgia.
In effetti Lembo, scomparso nel 1987, ha creato a partire dalla fine degli anni ’60 autentici capolavori di altissima manifattura, che hanno dato lustro al made in Italy, accompagnando l’intera parabola di Cinecittà e arrivando a conquistare le più importanti mecche cinematografiche del pianeta, Hollywood compresa. La raccolta, che si compone di circa 15mila pezzi, ad un certo punto tuttavia ha rischiato di cadere in rovina e disperdersi. Si deve al nuovo proprietario, il costumista Carlo Poggioli, il merito di aver rilevato il “tesoro”, averlo preservato, restaurato e addirittura arricchito con nuovi acquisti, tra cui i magnifici collier in smalto colorato creati da Pierre Cardin negli anni ’70, monili egizi, corone imperiali dell’antica Roma, diademi elisabettiani, spille Decò, ventagli ottocenteschi splendenti di strass. Tant’è che Poggioli nel 2009 ha deciso di costituire la società “Jewel House”, la cui attività consiste nel noleggio e nella produzione di bigiotteria artistica per teatro, opera, cinema, televisione e spettacolo, nonché allestimenti scenici. Comunque la maison continua tuttora a sfornare nuove realizzazioni. (Cfr. http://www.imore.it/rivista/i-gioielli-che-illuminano-la-scena/)
Insomma, dalla preistoria al presente, l’arte orafa è di casa in Italia.