ITALO LUPI, la grandezza di un uomo defilato: pillole di saggezza professionale.
Italo Lupi: Architetto d’interni, allestitore e graphic designer, scrittore con un passato da consulente di immagine per la Rinascente, IBM Italia e la Triennale di Milano, art director di “Domus” e art director e direttore di “Abitare”.
Laurea in architettura e laurea H. C. in design al Politecnico di Milano, Honorable Royal Designer a Londra, vincitore di tre “Compasso d’oro” (uno alla carriera), del “German Design Award 2011” e, soprattutto, uomo straordinariamente gioviale ed ironico, dall’eloquio generoso ed attento che solamente da un cuore gentile può trapelare.
Dopo mesi di corteggiamento, da lui definito ironicamente -quasi – vessatorio, la conversazione è scivolata via placida e piacevole, come una gita in barca in un piccolo lago ombreggiato da tante sfumature di verde.
E’ stato art director della rivista Domus, di nuovo art director e poi direttore della rivista Abitare, cosa le piace ricordare di quei periodi?
Direi il senso di dominio e di potere -lo dico per scherzo-, con emozioni che nascevano dalla grande libertà di espressione riconosciutami.
In generale sono stati periodi di forte impegno e divertimento. Ritrovare Mario Bellini a Domus con il quale avevo condiviso gli studi di architettura al Politecnico e il lavoro a La Rinascente è stato molto bello.
Come è stato il passaggio da una rivista di urbanistica ed architettura come “Domus”, ad una rivista di architettura d’ interni e design, quale è “Abitare”?
E’ stato un passaggio molto stimolante. “Abitare” ha una tradizione di grande serietà, anche in senso politico con un occhio molto attento alle questioni sociali e al bene comune. “Abitare” ha avuto un supplemento “Se” molto radicale, che poteva sembrare un po’ nevrotico a un primo impatto perché pareva contrastare con lo stile sofisticato ed elitario, ma in realtà si armonizzava perfettamente con la rivista, la rendeva più completa.
E il passaggio all’interno della stessa rivista, da art director a direttore?
Il mutamento di posizione è stato molto interessante così come lo è stato lavorare con l’editore Renato Minetto: uomo straordinario, grande amico e lavoratore entusiasta. Eravamo una redazione stupenda, con una forte collaborazione tra i redattori. Avevamo la possibilità di scegliere gli argomenti da trattare, di rivendicare questo diritto con assoluta autonomia sganciandoci dalle politiche pubblicitarie. Un nostro merito è stato tra gli altri, quello di aver avuto il coraggio di dare spazio oltre che a nomi noti soprattutto a giovani talenti divenuti con gli anni professionisti affermati. Avevamo un occhio di riguardo per le cose che progettavano in Italia. Questo ci ha consentito di distinguerci dalle altre riviste di settore orientate perlopiù a favorire le archistar e non i nuovi germogli.
Sono rimasto ad “Abitare” per sedici anni. C’e tutt’ora grande affetto e stima con i miei compagni di lavoro, di allora, che sento e vedo spesso.
Quale messaggio si cela dietro il suo modo di lavorare?
Nessun messaggio. C’ è disciplina … lavoro …. e più di tutto molta curiosità fanciullesca.
Ha da poco pubblicato il libro “Italo Lupi, Autobiografia Grafica” vuole parlane ?
“Autobiografia Grafica” è un volume che credo abbia cambiato il modo di fare libri di grafica progettati direttamente dai grafici. Il merito di questo libro è che accanto al mio lavoro, ho riconosciuto giusti tributi a coloro che con il loro operato hanno influenzato il mio, anche se magari lontani dal mio stile professionale: Vignelli, Glaser, Gregotti, Provinciali.
È nato a cavallo tra le due guerre, l’essere stato privato di cose, quale influsso ha avuto su di lei?
In quel periodo ci siamo rifugiati con la mia famiglia nella villa di mio nonno nelle Langhe, fui un privilegiato per questo. Ricordo nitidamente il terrore dei rastrellamenti durate il periodo della Resistenza, il senso di impotenza e la sofferenza della gente. Ciò che ho vissuto ha influenzato il mio modo di guardare ai poveri e alle persone svantaggiate. Ho imparato l’arte di stare con i più deboli, mai con i più forti. Ho imparato cosa vuol dire collaborazione e saggiato la generosità delle persone.
Ha studiato al politecnico di Milano, cosa ricorda di quegli anni ?
E’ stato un periodo meraviglioso, ricordo il tempo trascorso con i miei compagni, Mario Bellini, Roberto Orefice, Carlo Segrè, Oscar Cagna, tutte persone di grande disciplina intellettuale. Avevo paura delle difficoltà delle materie scientifiche, ma l’entusiasmo di affrontare una materia che nessuno della mia famiglia aveva mai frequentato prima. Ho avuto un insegnamento severo e formativo, anche se non avanguardista. All’epoca infatti, i professori più “moderni” si erano trasferiti dal Politecnico allo IUAV di Venezia, che raggiunse allora grande prestigio.
C’è stata una persona che ha assunto un ruolo determinante per la sua crescita professionale?
Direi i fratelli Castiglioni: Pier Giacomo ed Achille. Tra i progettisti più influenti del design Internazionale; con Achille iniziai una collaborazione dopo la morte del fratello Pier Giacomo. Ho lavorato con lui come grafico e come allestitore: era veloce, intuitivo, intelligente, anticonformista, un uomo straordinario. E poi per la fondazione delle basi culturali, il nostro Professore del Politecnico, Ernesto N. Rogers. Inoltre, aver avuto una casa a Londra per più di quarant’anni mi ha fatto amare quella cultura, in specie quella grafica, da cui ho molto imparato.
Un personaggio storico del mondo dell’arte che la colpisce?
Del passato innumerevoli. Più vicino ai nostri tempi mi viene in mente Fausto Melotti, per il suo ingegno semplice, leggero e complesso al contempo. Nacque come ingegnere elettronico, fu un bravo musicista e successivamente si dedicò con grande sensibilità alla scultura. Ha in passato lavorato per la Maison Prada; cosa ricorda di questa sua incursione nella moda?
Per Prada ho curato il design dei cataloghi in grande formato. E’ stato interessante e piacevole lavorare con Miuccia e con la sua assistente e poi con Patrizio Bertelli. Alla fine degli anni cinquanta c’era una rivista di gran moda magistralmente impaginata –
–, che mi aveva avvicinato alla moda. Spesso la acquistavo per il gusto di ammirare un lavoro così ben fatto. L’art director era Bruno Munari. Quando ho fatto il direttore di “Abitare” misi a frutto quanto osservato e decisi assieme alla redazione di offrire uno spazio ai talenti emergenti della moda capaci di realizzare collezioni di forte qualità progettuale. Una di questi talenti è la bergamasca Daniela Gregis.
Eleganza fa rima con?
Intelligenza
Chi arriva primo vince sempre?
No, ma è in buona posizione.
Progetti per il futuro?
Continuare a lavorare. Non le dico quanti anni ho, ma le assicuro che lavoro come un quarantenne!