KING GEORGE e l’insostenibile leggerezza dei cretini
Con quella bocca può dire ciò che vuole… soprattutto ora che ha raggiunto il glorioso traguardo degli ottant’anni. In effetti il Giorgio Armani opinionista non è mai ricorso né a filtri né a perifrasi, ovvero non le ha mai mandate a dire quando le circostanze lo richiedevano, esprimendo con disarmante franchezza il suo pensiero a volte controcorrente, spesso provocatorio, sempre lucido e costruttivo, come quando in due parole ha distillato l’essenza del ben-vestire: “Eleganza è intelligenza e misura” sentenziò in un’intervista del 1989.
A restituirci in modo esauriente l’Armani-pensiero ci ha pensato la giornalista di moda Paola Pollo con “I cretini non sono mai eleganti” (Rizzoli Etas), in cui ha ripercorso le tappe di vita e lavoro dello stilista icona del made in Italy, componendo un florilegio di citazioni dopo aver scandagliato una miriade di interviste da lui rilasciate in quasi quarant’anni di carriera. L’opera, quindi, può classificarsi a pieno titolo come un’autobiografia, dal momento che a parlare è solo lui, spaziando tra ricordi (non di rado malinconici), confessioni (sovente divertite e divertenti), giudizi ironici che sembrano aforismi e idee rivoluzionarie come i suoi tagli. Emerge una personalità forte, la cui cifra distintiva resta comunque il senso dell’equilibrio armonico, l’avversione per gli eccessi, l’anelito alla semplicità della perfezione, a cominciare dal suo consiglio basico: “Eliminate il superfluo, enfatizzate la comodità e riconoscete l’eleganza del poco complicato”.
Il titolo del volume (che reca un’affettuosa prefazione di Adriana Mulassano) è tratto da un’intervista che Armani concesse nel 1982 a Paolo Mosca, la cui versione completa suonava così: “I cretini non sono mai eleganti. Gli intelligenti, invece, anche con due stracci addosso sono vestiti logicamente, quindi sono sempre eleganti”. Poteva essere più chiaro ed esaustivo? D’altronde, egli ha sempre avuto i piedi ben piantati per terra e per lui la moda è stata ed è essenzialmente un “fare vestiti”. Tiene a precisare infatti: “Trovo imbarazzante parlare di arte quando mi riferisco al mio lavoro, che è di fatto un’operazione molto democratica. Per questo non possiedo quadri esclusivi: non capisco chi colleziona e si vanta di possedere opere che gli altri non possono vedere”. La sua “filosofia” comunque sta tutta qui: “Bisogna accorgersi che sotto all’abito c’è un corpo che pulsa, che sotto questi vestiti c’è un uomo che non è più a disagio se ha scoperto una piega, un’imperfezione. I miei capi non richiedono prove e misurazioni. Si infilano e basta”.
L’infaticabile lavoratore che egli è, preciso, esigente, razionale (“Il mio lavoro è del tipo Ibm, tutto programmato. Le aziende che lavorano per me hanno precise scadenze che devo rispettare” ipse dixit) sembra non patire lo scorrere inesorabile del tempo, anche se a Cosmopolitan nel 1977 aveva confidato: “Mi dà fastidio invecchiare. Sento un’angoscia sottile quando il pensiero migliora e si affila, mentre il corpo lentamente decade. Vorrei fermare tutto a questa età”.
In fondo, possiamo concludere che c’è riuscito perfettamente a realizzare il suo ideale di moda a misura d’uomo, rammentandoci in ogni sua creazione che la vera bellezza consiste nell’ “evitare tutto quello che è evidente, il lusso sfrenato, per scoprire un lusso più segreto, più riservato, meno diffuso”.
Le sue muse infatti sono state donne come Greta Garbo, Charlotte Rampling, Jacqueline Kennedy Onassis, Diane Keaton, Katherine Hepburn, belle e soprattutto determinate, intelligenti, capaci di incarnare un ideale femminino di eleganza grintosa ma spontanea, in buona parte giocata su colori sobri e ponderati.
L’epica carriera di Giorgio Armani iniziò con Nino Cerruti per arrivare alla sua prima linea donna personale nel 1976, assolutamente innovativa per i tailleur e le giacche maschili, rispondente a criteri di somma razionalità ed equilibrio formale, per giungere poi alla consacrazione definitiva su scala planetaria nel 1980 con i “mitici” completi destrutturati portati sullo schermo dall’ American Gigolò Richard Gere. Fu quindi la volta della copertina di Time nel 1982 e, in un crescendo prodigioso, della mega-retrospettiva dedicatagli dal Guggenheim Museum di New York nel 2000 e tanti altri step importanti che valevano altrettanti trionfi: il debutto nell’alta moda, il teatro milanese a lui intitolato, progettato dell’architetto Tadao Ando, l’esordio in grande stile nell’hotellerie di prestigio, ecc.
“I cretini non sono mai eleganti” non vuole tuttavia proporsi come una celebrazione o, peggio, una auto-consacrazione, ma tracciare a ritroso la via esistenziale e professionale di colui che ha rivoluzionato il nostro modo di pensare la moda e dunque di vestire, ossia colui che è stato e resta uno degli ambasciatori più autorevoli dello stile italiano nel mondo, sempre proteso nel futuro, ma radicato saldamente alle sue origini e genuino in modo totale, costantemente pronto a rinnovarsi per rimanere fedele a se stesso. Ecco perché non ha mai risparmiato critiche a chi – illustri colleghi compresi – col suo strafare finisce per atrofizzare la creatività e guastare il gusto. Dal libro della Pollo esce dunque il ritratto dell’Armani uomo, stilista e imprenditore attraverso pensieri, dichiarazioni, battute, parole “naif” che illuminano i tratti – la timidezza, la dedizione al lavoro, la passione, il rigore – del forse più riuscito esempio di couturier-manager. Una lezione magistrale per l’avvenire dell’impresa e della creatività italiana nel mondo.