L’Eleganza ai tempi del GF (ossia del Grande Fratello)
“Il bruto si copre, l’arricchito e lo sciocco si addobbano, solo l’uomo elegante si veste”. Così sentenziava Honoré de Balzac col suo piglio categorico.
Ma cos’è oggi l’eleganza? Esiste ancora come connotato di stile, se non come ragione di vita? Sono davvero inalienabili i diritti di vuol seguire tutte le mode, ovvero l’incostanza della moda, ad ogni costo?
Certo, non è più il duca di Windsor il modello di riferimento, ma il più chiassoso dei vip formato teleschermo.
Eppure, c’è chi conserva un istinto innato al mito del perfetto guardaroba, quello, per intenderci, con tanti inserti classici. Ciò è particolarmente evidente nella moda maschile dove, foss’anche nel Friday wear, si respira voglia di raffinatezza e sobrietà. Si veda, ad esempio, l’importanza che è andata assumendo in passerella la maglieria, col cachemire in tutte le forme ed i colori possibili. Un segno di eleganza lo si riscontra anche nel fatto che tanti stilisti cerchino di rendersi riconoscibili non più col marchio a vista, ma con lo stile autentico.
In verità, se non esistono più vere tendenze, ma solo pochi dettagli ricorrenti ed una costante esigenza di essenzialità, vuol forse dire che si fa sentire una certa nostalgia della norma e, quindi, un bisogno di ripensamento e moderazione. Bando, allora, a boria e presunzione anni ’80: la spettacolarità cede il passo all’ermetismo, alle innovazioni incrementali in materia di sensorialità e funzione.
Anche il periodico revival del nero, come colore non-colore, si innesta in questo discorso. Adottato come segno di potere, ideologico o professionale, a partire da Filippo Il Buono Duca di Borgogna nel XV secolo, è arrivato a degenerare nel culto nazi-fascista della morte, per approdare poi alla rispettabilità di un Lord Brummel ed al fascino del nero contemporaneo, sensuale e misterioso, oltre che sintomatico di autorevolezza e importanza, al pari di buon gusto, intellettualismo, eleganza appunto.
Per quanto riguarda le donne, il dark non è necessariamente indice di eleganza, checché qualcuno lo pensi: talvolta, anzi, denuncia solo chiusura, azzerando ogni segnale, se non quello della mancanza di fiducia nella comunicazione e nell’indisponibilità alla socializzazione.
Oggi l’eleganza femminile coincide sempre più con uno stile sofisticato e concettuale, nel senso che tutto è misurato, ponderato, comprese le eccentricità, all’insegna della cultura e della democraticità. Merito anche del prêt-à-porter italiano, che a differenza di quello londinese, newyorkese, parigino, indulge meno alla spettacolarità, rivendicando i propri valori di ricerca e pragmatismo.
Mi sembra un riconoscimento dovuto, questo, alla moda nazionale, che pure tante volte ho “accusato” di essere sclerotizzata sull’idea del prodotto, autoreferenziale, arrogante, tanto affabulata da parole pompose quanto incapace, spesso, di trarre sintesi valide.
In proposito, per l’ennesima volta mi permetto di suggerire alla nostra moda la possibilità (la necessità?) di trovare una nuova via-verità-vita nello scambio dialettico con altre espressioni artistiche, come pittura, scultura, architettura. Epidermicamente questa esigenza sembrano riconoscerla tutti, in profondità assai pochi (comunque”¦ anche l’arte veste Prada!).
Ci voleva un grande Maestro come Roberto Capucci per impartire, ancora e ancora, una lezione di eleganza in tale senso, partecipando col suo abito-scultura “La Donna Gioiello” ad una recente mostra a Vienna (titolo: “Siamo maschere”, presso il Museo Etnologico, sotto l’egida del Kunsthistorisches Museum). In quelle volute di taffetas con maschera in vetroresina e copricapo-maschera (realizzato per il Carnevale di Venezia e donato al Museo Fortuny) abbiamo visto rinchiuse più idee, ideali, sogni, che su un’intera passerella dell’ultima stagione.
E poi, fino al 10 Gennaio, al Museo Boijmans di Rotterdam si è svolta la mostra “The art of Fashion” (curata da Judith Clark e José Teunissen), dove arte e moda si confrontano fuori dagli schemi, focalizzando l’attenzione sulle cinque creazioni (commissionate dal collezionista Han Nefkens) di Anna-Nicole Ziesche, Naomi Filmer, Viktor&Rolf, Hussein Chalayan e Walter van Bierendonck, tutti designer che hanno deragliato dai binari di una moda a compartimenti stagni. Obiettivo: mostrare il senso autentico degli abiti, ovvero di quei capolavori che il prêt-à-porter riesce pur sempre ad esprimere.