La bellezza di tirare la cinghia
Osservare l’evoluzione della moda attraverso un accessorio apparentemente banale e minimale come la fibbia è l’originale punto di vista adottato da Bianca Cappello e Samuel Magri, rispettivamente storica e critica del gioiello e storico dell’arte e della moda, che a questa sorta di fermaglio – talvolta prezioso, spesso estroso, sempre pratico – hanno dedicato uno splendido catalogo edito da Skira: “Storia della Fibbia tra Moda e Gioiello (1700-1950)”.
Il volume, ricco di foto e illustrazioni, addentra il lettore in modo appassionato tra curiosità e notizie storiche, spiegando come la fibbia si è trasformata nel tempo a livello di estetica, tecnologia, materiali, descrivendone le fogge e in particolare le lavorazioni, non di rado complesse. L’opera è impreziosita visivamente da una selezione di fibbie provenienti dalla collezione Pennasilico, tra le più importanti al mondo, e da una ricerca iconografica ricca di ritratti e immagini d’epoca (quella della famiglia Pennasilico è una raccolta unica che accoglie oltre duemila fibbie da abito, da cintura e da scarpa, datate tra il 1750 e il 1950, fra le quali un pezzo rarissimo firmato da Faberge, gioielliere degli Zar).
Complemento imprescindibile nell’abbigliamento di ogni periodo a partire dai tempi antichi (le prime tracce sembrano risalire alla metà del IV millennio a.C.), la fibbia nata per motivi funzionali è diventata ben presto un elemento ornamentale soggetto alla moda, sia essa da cintura, da pantalone, da mantello, da cappello, da scarpa, da valigia, da borsetta, ecc., senza dimenticare il ruolo di status symbol che essa ha ricoperto (in alcuni casi assurta a prodotto di oreficeria finemente decorato).
Composta da una bordatura in metallo o plastica con diverse forme (spesso rettangolare) e completata da un puntale che va inserito in uno dei fori praticati sulla cintura, la fibbia ha soprattutto la funzione di chiusura ed il suo uso logicamente deriva da quello della cintura per uomo, le cui origini risalgono solo ai primi dei XX secolo.
Nella fattispecie furono i marinai britannici, alle prese ogni giorno con la furia del mare e le intemperie, ad avere bisogno di lacci sicuri per chiudere i loro indumenti, che la persistente umidità rendeva comunque piuttosto precari e scomodi. I disagi durarono finché un geniale navigante, dotato di uno speciale senso pratico, inventò la prima vera fibbia per cintura, che – ça va sans dire – ottenne un immediato successo e il suo uso si diffuse rapidamente.
Sotto il profilo storico-letterario, ricordiamo che nell’Odissea si menziona una fibbia di Ulisse ornata di un cane che afferra un cerbiatto. In effetti gli archeologi hanno rinvenuto a Itaca uno splendido esemplare di fibbia in oro, decorata con piccole palme e fiori a cui sono appese cordicelle guarnite da teste di Satiri. A Roma, nel periodo imperiale, erano in auge fibbie costituite da una placchetta con figure ornamentali o iscrizioni augurali.
In epoca medioevale l’utilizzo delle fibbie per chiudere le sopravvesti era così vasto che gli artefici (i quali erano solitamente orafi) diedero vita ad una corporazione.
Le fibbie venivano attaccate alle vesti in modi diversi. Quelle impiegate per allacciare le cappe avevano solitamente la forma di un medaglione tondo, ovale, quadrato, a losanga o a quadrifoglio, derivando in parte dai modelli goti e longobardi, i quali presentavano fogge di notevole valore artistico, talvolta recando incastonati cammei e gemme, e non di rado esibendo cesellature e smaltature di pregio o filigrane. Pensiamo, ad esempio, alla fibbia proveniente dal tesoro dell’abbazia di San Dionigi (Biblioteca Nazionale di Parigi) ed a quella con un cammeo antico inglobato in un’opera di alta oreficeria. Si hanno descrizioni di fibbie persino in poesie e romanzi cavallereschi, raffiguranti scene d’amore e di cortesia.
Cadute in disuso nell’abbigliamento trecentesco, continuarono comunque ad essere adoperate come fermaglio nei paramenti sacri e a scopo cerimoniale venivano arricchite con lavori di smalto e oreficeria, come nel caso del magnifico “bottone” di piviale descritto da Benvenuto Cellini, da lui stesso realizzato per papa Clemente VII. Sempre il Cellini cita le fibbie da cintura a filigrana usate persino dalle contadine fiorentine, composte di due pezzi simmetrici dotati entrambi di un gancio, il secondo dei quali doveva naturalmente adattarsi al primo.
I fermagli d’oro, ormai rari, durante il Medioevo erano considerati gioielli complementari di ogni veste. Si trattava per lo più di doni offerti, come si legge nel Roman de la Rose, alle dame che li indossavano in varie occasioni applicandoli non solo ai loro corpetti, ma anche ai veli delle loro elaborate acconciature. Nel secolo XV poi, quando gli uomini portavano cappelli di stoffa, i fermagli d’oro e di pietre preziose erano utili per riordinare le acconciature e le piume. Stando così le cose, non mancarono nel Medioevo autori satirici che fustigarono il lusso eccessivo delle fibbie.
E’ una miniera di notizie interessanti e curiose il volume di Bianca Cappello e Samuel Magri, anche se si focalizza soprattutto sugli ultimi tre secoli di storia del costume, prendendo le mosse comunque dall’antichità.
Dal Dittamondo di Fazio degli Uberti (1300), 2. 31: “Ecco la fibbia, ch’è sanza ardiglione, Ecco la ricca, e bella mia cintura, Che per gli antichi sì cara si pone”.