La crisi delle Seconde Linee
Come interpretare il fatto che un big del calibro di Marc Jacobs abbia chiuso la sua seconda linea (Marc by Marc Jacobs) e deciso di puntare tutto sul prêt-à-porter? Qualche anno fa Dolce & Gabbana avevano fatto altrettanto con D&G. Il caso di Marc Jacobs resta comunque eclatante se non altro perché il brand secondario, che proponeva prezzi più accessibili, generava il 70% del fatturato complessivo.
L’obiettivo di questa mossa, giunta un po’ a sorpresa, pare quello di assecondare la tendenza – comune ormai a molte griffe di moda – a muoversi in una fascia di prezzi più dilatata all’interno del marchio principale, in reazione al comportamento del consumatore moderno che, sempre più esigente ed oculato, alla ricerca costante di uno stile personale, tende a mescolare nei propri outfit articoli casual ed eleganti, haut-de-gamme e mass market, accostando brand diversi.
Quindi le seconde linee sono destinate a distinguersi o ad estinguersi, per usare un gioco di parole, ovvero a crescere da giganti o a chiudere bottega del tutto. Si pensi all’evoluzione darwiniana vissuta dalla celebre linea Miu Miu di Prada che ormai si è collocata praticamente nella medesima fascia di prezzo del marchio-madre.
In realtà sono parecchie le aziende di moda che, scegliendo strategicamente di entrare nel segmento di mercato “diffusion”, hanno dimostrato di considerare strategico il rivolgere la loro offerta ad un’audience più vasta e variegata: si pensi a Emporio Armani, Versus Versace, Just Cavalli, Moschino Cheap and Chic, Hogan, DKNY, Polo Ralph Lauren, Calvin Klein Jeans, See by Chloé, ecc.
Elementi sostanziali di queste decisioni, indubbiamente coronate da successo, sono: prodotti informali, meno innovativi ma pur sempre trendy, delocalizzazione produttiva, distribuzione capillare e soprattutto prezzi più bassi rispetto alle collezioni prêt-à-porter.
Se, ad un certo punto, si ritiene opportuno modificare orientamento, le ragioni in fondo sono banali. Si pensi, innanzitutto, agli effetti dirompenti provocati nel mondo della moda dall’arrivo delle grandi catene di fast fashion come Zara, Top Shop, H&M, che con i loro modelli economici e stilisticamente interessanti hanno minato le fondamenta stesse delle linee “diffusion”. D’altro canto, la spinta verso l’alto di gamma della produzione di lusso made in Italy ha reso meno appetibili e accattivanti le seconde linee dei grandi dello stile.
Inoltre, occorre considerare che per competere nel mondo globale i colossi del fashion system devono investire cifre da capogiro nelle sfilate, negli showroom, nella pubblicità, nei negozi, e quindi più sono i loro marchi, più le somme spese devono essere consistenti per rafforzare l’identità dei brand stessi.
Si aggiunga a tutto questo che oggi internet ha reso disponibile una vetrina immensa come il mondo e così si capisce come penda la classica spada di Damocle su molte seconde linee.
“Tutti possono vedere tutto: i negozi in centro e gli outlet a prezzi scontati, la sfilata con gli abiti couture da sogno e le t-shirt con i graffiti, il video sul savoir faire e il contest con il progetto di design crowd sourcing su facebook” – ha scritto Erica Corbellini, SDA Professor of Strategic and Entrepreneurial Management, in un articolo recente (“C’erano una volta le seconde linee”, 22/04/2015, ideas.sdabocconi.it/strategy) – concludendo in questi termini: “Se la coerenza tra i vari mondi proposti non è massma, se ogni marchio non ha una reason why specifica con una forte integrità di prodotto, se le sovrapposizioni non sono gestite con un’attentissima segmentazione del portafoglio, allora diventa inevitabile che la linea bassa cannibalizzi quella alta”.
Non si creda, comunque, che le seconde linee siano “figlie di un Dio minore” e come tali votate all’insuccesso prima o poi, tant’è vero che continuano a nascerne anche oggi, come Ermanno di Ermanno Scervino o Giamba di Giambattista Valli; resta però da monitorare attentamente la dinamica della cosiddetta moda “democratica” di lusso, diretta ad un pubblico prevalentemente giovanile che si dimostra sempre più consapevole della propria “sovranità” e che ama “fare zapping” tra i brand, le occasioni, gli stilisti, saltando tra una linea e l’altra di quel quaderno infinito che è la moda.