La festa più bella di tutti i tempi
Fu una festa grandiosa, la più spettacolare di tutti i tempi, quella organizzata il 24 Giugno 1911 dallo stilista francese Paul Poiret, bon vivant, collezionista d’arte, megalomane amante del lusso, ma soprattutto fautore di una donna libera e di una moda democratica. Allestita nel giardino di casa sua e ispirata all’orientalismo imperante delle Mille e una notte, fu intitolata La Féte de la Mille et Deuxième Nuit (La Festa della Milleduesima Notte). Fu un sogno ad occhi aperti, per il quale – spiegò Poiret – “avevo riunito molti artisti e avevo messo i miei mezzi a loro disposizione per realizzare un insieme che nessuno aveva mai potuto creare fino ad allora”.
Una descrizione del sontuoso evento è riportata dallo stesso stilista nella sua autobiografia, preziosa tra l’altro per delineare i tratti di quel suo stile unico, concepito per esaltare la donna della Belle Époque: finalmente sciolta da busti, corsetti, stecche, sottogonne, sostituiti da reggiseni e reggicalze, e resa più seducente grazie ad abiti morbidi, raffinati e facilmente indossabili. Per quanto riguarda le fogge, le suggestioni provenienti dalla lontana Persia sono alla base di molte sue creazioni: abiti audaci e scenografici per dame in via di emancipazione proto-femminista, gonne eccentricamente asimmetriche, tuniche da odalische, leggere e trasparenti, portate sopra i pantaloni, linee classicheggianti cariche di particolari esotici. In effetti con La 1002 notte il magnifico couturier fece conoscere per la prima volta ai suoi clienti i pantaloni di chiffon in stile harem, la jupe-coulotte (la gonna-pantalone) e i turbanti all’orientale.
Quello che Poiret mise in scena in occasione della festa, senza badare a spese, fu tuttavia un Oriente idealizzato e stereotipato, misteriosamente evocativo di fasti di ogni genere, a cominciare da quelli vestimentari. Per sè scelse naturalmente il ruolo di sultano (con tanto di turbante di raso bianco incrostato di gemme su cui svettava una aigrette di fili di cristallo), seduto su un trono d’oro a fianco della bellissima moglie Denise in veste di favorita, che con i suoi pantaloni sbuffanti stretti alle caviglie, la corta crinolina a paralume di lamè dorato, il turbante d’oro con un’immensa aigrette fermata da un fermaglio di turchesi, assurgeva ad icona della nuova femminilità contemporanea, libera e voluttuosa.
“Alcuni alberi erano coperti di frutti luminosi blu scuri, altri portavano bacche luminose viola – racconta Poiret – In un angolo c’era la baracca della maga, che portava dei diamanti incastonati nei denti… Ed ecco il bar delle tenebre, in cui solo i liquori erano luminosi”. E poi vi erano fontane che sembravano scaturire da tappeti antichi, nebbie di incenso e mirra, montagne di cuscini foderati di seta variopinta, fuochi d’artificio che simulavano un incendio, suonatori di cetra, odalische in gabbia, conturbanti danzatrici, mercanti da bazar, cuochi orientali nella grotta di Ali Babà, servitori di colore a torso nudo, cantastorie che narravano fiabe delle Mille e una Notte, viali cosparsi di sabbia del deserto dove passeggiavano animali esotici in carne e ossa. Bastano pochi cenni come questi per farci intuire la folle grandeur di una festa simile, dal ritmo frenetico, in cui ovviamente anche gli ospiti indossavano abiti persiani autentici (forniti dallo stilista).
In verità l’orientalismo di Poiret era quello mutuato e filtrato dalla moda dei Ballets Russes, la celebre compagnia di danza istituita a Parigi nel 1909, di cui furono indimenticabili protagonisti coreografi e ballerini come Diaghilev, Fokine, Nijinskij, Massine, Balanchine, Pavlova, Karsavina, Smirnova, Bolm, quasi tutti provenienti dal grande Teatro Marijnskij di Pietroburgo. Con loro gli spettacoli di danza divennero gli eventi teatrali più importanti del primo quarto del Novecento, entrati nel mito per le coreografie innovative ed i costumi audacemente originali. Basti pensare al balletto Shéhérazade del 1910, ideato da Michel Fokine sulla musica dell’omonimo poema sinfonico di Nikolaj Rimskij-Korsakov, sensualmente interpretato sulla scena dalla famosa danzatrice Ida Rubinstein e dal superbo Vaslav Nijinskij nel ruolo dello Schiavo d’Oro. Una languidezza da harem attraversa tutta l’opera, il cui erotismo è esplicito nei gesti, nei colori, nelle nudità esibite, che i veli esaltano anziché coprire.
Paul Poiret, feste a parte, fu veramente un genio rivoluzionario della moda per vari aspetti, anticipando molto di ciò che noi oggi includiamo nel fashion system. Tra l’altro fu il primo stilista a lanciare un profumo e fu il primo a ideare una collezione di moda maschile, a inventare la boutique, a studiare le dinamiche del prêt-à-porter e delle royalties, a lanciarsi nella conquista del mercato americano, a chiedere agli artisti di lavorare per lui, a fondare una scuola di arti decorative (tappezzerie, tappeti, tessuti d’ arredamento, mobili, lampade, vasi) per giovani particolarmente dotate, di famiglia operaia, che venivano stipendiate per il loro lavoro.
Il grande couturier morì solo e in miseria, ma da lottatore e uomo libero, orgogliosamente memore degli sfarzi del glorioso passato, forse infischiandosene pure delle battute al vetriolo che gli indirizzava la “perfida” Coco Chanel. Memorabile ciò che Mademoiselle rispose a Poiret quando lui, vedendola vestita di nero, le chiese con un pizzico di ironia: “Per chi porta il lutto signora?”. “Per lei, signore” fu la raggelante replica.