La magia di monsieur Givenchy
Stile classico reinventato, spirito creativo senza limiti, buon gusto imprescindibile… ed è subito Givenchy. Allo stilista francese 87enne, maestro di eleganza, ha dedicato una retrospettiva senza precedenti il prestigioso Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid, in cui i suoi abiti più celebri sono affiancati da una selezione di opere d’arte che furono sue muse: in totale 91 capi haute couture (indossati dai perfetti manichini dell’azienda ferrarese Bonaveri), 17 dipinti, diversi bozzetti e foto. E’ stato lo stesso Hubert de Givenchy, con senile ardire e ardore, a curare questa grande mostra che omaggia cinquant’anni di storia della maison da lui fondata nel 1952, il cui destino è stato segnato dalla cessione a LVMH nel 1988 a seguito del ritiro del medesimo couturier dalle scene.
Nel museo madrileno si sono ammirati i suoi capolavori sartoriali entrati nella leggenda (provenienti da collezioni pubbliche e private di tutto il mondo), molti dei quali esposti in pubblico per la prima volta, tra cui abiti corti, capi in pelle e delicati vestitini in seta e lamé, con un trionfo di superbi modelli in bianco e nero.
Ma la rassegna “Hubert de Givenchy” si è distinta soprattutto per quei pezzi iconici ancora ben presenti nell’immaginario collettivo mondiale, dotati di allure magica e temperamento fortissimo, come l’abito a tubo in organza azzurro-mare con scollo asimmetrico e sciarpa che fluisce dalla spalla, il vestito da sera con corpetto di velluto nero, radiosa gonna bicolore in rosa e giallo a contrasto, con cadenza a spada, quello in crêpe di seta iridescente rosso-ciliegia con top rubino ricamato con piume, il magnetico tailleur-pantalone invernale in broccato oro-bronzo-nero, e ancora l’abito da sposa invernale bianco-avorio in pesante crêpe marocchino con bottoncini sul davanti di perle naturali, applicate anche sui polsini, il “mitico” little black dress in satin nero disegnato per la famosa camminata newyorkese sulla Fifth Avenue di Holly Golightly, alias Audrey Hepburn, in “Colazione da Tiffany” (1961).
In effetti, quello di Givenchy con la Hepburn fu un legame speciale che durò tutta la vita, trascendendo la mera sfera professionale e investendo il sentimento della più profonda amicizia. L’incantevole attrice inglese fu sempre il suo ideale estetico, il suo punto di riferimento stilistico e la sua fonte di ispirazione primaria, per cui creava mise sublimi da indossare sia nella vita che nei film (da “Cenerentola a Parigi” a “Arianna”, da “Sciarada” a “Come rubare un milione di dollari e vivere felici”, oltre al già citato “Colazione da Tiffany”).
Audrey, a proposito del sommo sarto parigino, si esprimeva così: “I vestiti di Givenchy sono gli unici nei quali mi sento me stessa. Lui è più di un designer, è un creatore di personalità”, giungendo poi a dichiarare: “Personalmente dipendo da Givenchy come le donne americane dipendono dal loro psichiatra”. E lui descrisse in questi termini il loro primo incontro: “Credevo fosse Katharine (Hepburn, n.d.r.), di cui ero fan. A quel tempo Audrey non era ancora molto conosciuta a Parigi. Mi chiese di disegnarle il guardaroba per Sabrina, io ero a metà collezione, ma le mostrai alcuni modelli che sembravano tagliati per lei” (passo tratto dalla biografia dell’attrice “L’intramontabile fascino dell’eleganza” di Yann-Brice Dherbier). In esclusiva per lei Hubert creò persino un profumo (il primo di una blasonata serie), il floreale “Interdit”, che in realtà fu chiamato così solo in seguito, quando fu reso accessibile a tutti (con Audrey testimonial immortalata dagli scatti di Richard Avedon).
Givenchy vestì anche altre donne di grande fascino e classe, estimatrici del suo taglio sartoriale innovativo, semplice e raffinato, nonché dei tessuti ricercati e delle forme squisitamente anticonvenzionali: Jacqueline Kennedy Onassis, la principessa Grace di Monaco, Greta Garbo, Marlene Dietrich, Lauren Bacall, Elizabeth Taylor, Wallis Simpson duchessa di Windsor, l’imperatrice iraniana Farah, Marella Agnelli, Jeanne Moreau, Ingrid Bergman…
La mostra appena conclusa al Museo Thyssen-Bornemisza ha sottolineato in particolare la passione per l’arte dello stilista francese, stabilendo un suggestivo dialogo muto fra le sue creazioni e le opere di autori antichi e contemporanei come Francisco de Zurbaran, Mark Rothko, John Singer Sargent, Juan Miro, Robert e Sonia Delaunay, Georgia O’Keeffe.
Nato in una famiglia aristocratica (che osteggiò duramente la sua passione per la moda), Hubert de Givenchy agli inizi lavorò come assistente di Jacques Fath, Robert Piguet ed Elsa Schiaparelli, esordendo con la sua prima collezione nel 1952. Ammiratore dello stile elegantemente sobrio di Cristobal Balenciaga, fu il primo couturier a presentare una linea pret-à-porter di lusso nel 1954. Il successo gli arrise subito, specialmente grazie alla “blusa bettina” (dal nome di una celeberrima indossatrice dell’epoca), quindi con l’abito a sacco, il mantello a collo avvolgente, l’abito a palloncino e l’abito a bustino.
“È l’abito che deve seguire le linee del corpo, non il corpo assecondare la forma del vestito” resta uno dei suoi ammonimenti classici.
All’italiano Riccardo Tisci, l’unico stilista che egli abbia voluto conoscere personalmente tra quelli che hanno preso le redini creative della maison dopo il suo ritiro, Givenchy ha raccomandato: “Ricordati di due cose: mai dimenticare le tue radici e sii te stesso”. Un vero maestro!