La metamorfosi dello stile: dagli anni 90′ ai giorni nostri
Il processo di globalizzazione dovuto, tra le altre cose, al diffondersi delle tecnologie digitali, ai mutamenti socio-politici e agli incalzanti flussi migratori, ha avuto un ruolo determinante nell’evoluzione dello stile dagli anni novanta ad oggi. Se da un lato ne ha alterato purezza e identità, omologandolo, dall’altro ha favorito compenetrazioni estetiche e culturali rendendo quello della moda un linguaggio comune e trasversale, capace di dialogare globalmente e a più livelli.
Nell’ultimo ventennio, abbiamo assistito ed assistiamo -almeno nel mondo occidentale- alla consuetudine di “fare moda” orientata alla mescolanza e alla internazionalizzazione oltre che alla erotizzazione strumentale dell’immagine e ad un esibizionismo sfrontato. Abbiamo riscontrato, la presenza di una esaltazione della promiscuità e della confusione di ruoli e di sessi.
La spettacolarizzazione della griffe è, ed è stata, l’ obiettivo di quasi ogni passerella; come nei casi delle creazioni impossibili da indossare o della stravagante campagna Gucci del 2003, che fece ritrarre una modella con i peli pubici acconciati come lettera “G”, per esaltare il logo del Brand.
L’esibizionismo è stato talvolta ai limiti della censura, per firme come Alexander Mc Quenn, DSquared e Sisley, nelle cui collezioni non è raro intercettare accenni di aggressività; ma è stato anche, oggetto di censura. Pensiamo alla campagna pubblicitaria per la collezione Cruise 2016 di Gucci messa al bando dall’ASA , Advertising Standards Authority (l’autorità inglese che monitora lo standard delle campagne pubblicitarie) per la condotta irresponsabile di proporre una modella troppo magra considerata non sana. Pensiamo alla campagna di Miu Miu del 2015 considerata “ irresponsabile e in grado di causare serio oltraggio” per aver pubblicato l’immagine di una ragazza dai lineamenti infantili semidistesa sul letto in posizione provocatoria ai limiti di un messaggio di pedofilia. Pensiamo a Tom Ford che ha più volte dichiarato che il “sesso vende” e ha associato nelle proprie campagne pubblicitarie immagini di zone intime del corpo femminile ai suoi prodotti.
L’universo maschile e femminile si sono fusi in capi sfacciatamente unisex, ne sono stati esempi i colli sciallati di pelliccia di Viktor & Rolf, parecchie silhouette di Gucci il cui recente direttore artistico, Alessandro Michele, ha fatto sfilare giovani uomini dai tratti effeminati con indosso mise tipicamente femminili; Dior che proprio nell’ultimo Fashion week di New York ha calcato le passerelle con modelli dai volti eterei con su outift declinati al femminile, borderline anche John Richmond. Ricordiamo poi le giacche- cravatta di Antonio Marras proposte qualche anno addietro. Vero è anche, che stilisti come Armani, Ralph Lauren e Jil Sander, sebbene si siano prestati al gioco della seduzione, lo hanno fatto in modo soft, raffinato ed elegante, proponendo stili suadenti e sensuali sì, ma mai volgari o appariscenti, orientati sempre a conferire un allure di charme e distinzione.
Al disincanto, al pragmatismo, e al calo dei valori di questa epoca contorta e confusa, si sono opposte alternative come la New Age, quali forme di sollievo e compensazione rispetto a realtà sempre più pressanti e complicate.
La cura edonistica del corpo e della mente che queste nuove dimensioni stimolano, ha portato le case di moda di alta gamma -si pensi a maison del lusso “intelligente” come Loro Piana, Hermes o Ballantyne– , a preoccuparsi di soddisfare con sempre maggior cura le richieste di una clientela attenta al proprio benessere psicofisico. In questo contesto l’abito assume il ruolo di rispettare, confortare e proteggere l’individuo oltre che valorizzarlo. Ciò si è tradotto in produzioni attente alle istanze dei fruitori, sensibili e avanguardiste.
C’è da aggiungere che, complici i mutamenti socio-lavorativi, complici l’aumento delle professioni libere e le tendenze americane progressiste, nasce in quest’epoca l’abitudine di mixare look da lavoro con quelli per il tempo libero, sollecitando il diffondersi dello stile casual-chic tipico di brand come Costume National, Jil Sander e Paul Smith il cui merito è quello di proporre look all’avanguardia, moderni, disinvolti e solenni al contempo. Sulla stessa scia ma con temperamento più soft si colloca Brunello Cucinelli orientato ad uno stile sport-chic con un approccio sobrio ed elegante. A tal proposito va posto in evidenza come uno degli elementi caratterizzanti del periodo sia proprio la consuetudine di indossare look sportivi resi desiderabili dai brand sportswear, cosi che, anche l’oufit da tempo libero diventa “snob style”.
Concludendo, è interessante osservare come la firma di moda, o logo che dir si voglia, è divenuta negli anni un elemento strategico ai fini della diversificazione del prodotto, ciò sta a significare che parecchi dei brand che firmavano unicamente abiti, hanno deciso di espandersi in vari altri settori di vita, dall’architettura d’interni, alle proposte beauty, ai ristoranti e agli alberghi di lusso. Tra i primi ad abbinare cibi e couture è stato Trussardi, con il ristorante Trussardi alla scala, un altro è stato Armani proprietario del ristorante Armani Nobu, al quale si è successivamente aggiunto Emporio Armani Café; Bulgari ha rilevato un ex-convento in zona Brera e lo ha convertito in un Hotel di lusso; Prada ha rilevato la pasticceria Marchesi a Milano e ha, nella sede di Galleria Vittorio Emanuele II a Milano, aperto una caffetteria-pasticceria molto raffinata.
Tutto ciò esprime un concetto estremamente totalizzante di moda: la moda ovunque, sempre e comunque.