La moda mette il turbo con i PIR
Riusciranno i PIR, ovvero i Piani Individuali di Risparmio da pochi mesi introdotti nel nostro sistema finanziario, a iniettare cospicue risorse private nelle aziende della moda italiana e quindi a sostenerne la crescita? Le condizioni potrebbero esserci, dal momento che questi strumenti sono nati proprio per convogliare investimenti nel medio-lungo periodo verso imprese piccole e medie con buone opportunità, e per renderli allettanti agli occhi dei risparmiatori sono previste interessanti agevolazioni fiscali. E’il caso di ricordare che le società fashion tricolori sono per lo più di dimensioni ridotte, a conduzione familiare, storicamente radicate ai loro territori di origine: di esse il 40% ha un fatturato compreso tra 20 e 30 milioni di euro, mentre un altro 26,3% registra ricavi sotto i 50 milioni di euro.
In uno scenario ancora venato di incertezza, in cui l’Italia insegue la ripresa dopo anni difficili, sono queste realtà minori ad esprimere di fatto le maggiori potenzialità, prospettando tassi di sviluppo più elevati rispetto alle grandi aziende. Non a caso i gruppi bancari italiani si sono già attrezzati in questo senso, istituendo dei fondi di investimento specializzati nel mercato nazionale che prevedono Piani Individuali di Risparmio, mettendo così a disposizione dei clienti un metaforico “tutor” che può investire in azioni di imprese nazionali tali da promettere performance brillanti nel prossimo futuro.
Si tratta in sostanza di una nuova formula di investimento finanziario che vuole mobilitare il risparmio privato, portandolo nel mercato azionario nazionale, e tutto ciò a vantaggio delle famiglie e del sistema economico del Paese, poiché questi nuovi canali di finanziamento chiamati PIR – alternativi rispetto al credito bancario e quindi destinati a rivestire un ruolo di rilievo nei portafogli dei risparmiatori – consentono di beneficiare dell’esenzione fiscale che la legge garantisce agli investimenti fino a 30mila euro l’anno, per un massimo di 150mila in 5 anni.
In effetti ci troviamo in una fase di accelerazione di cui le piccole e medie imprese possono avvantaggiarsi concretamente accedendo ad una dimensione di mercato infinita; ma per crescere in modo sano e regolato dal punto di vista reddituale e competitivo, esse devono essere accompagnate in un percorso attento e mirato. Intanto è confortante notare come l’indice Pmi composito del nostro Paese, che monitora l’attività dei settori manifatturiero e dei servizi, sta salendo ai massimi da quasi 10 anni, avendo ormai superato la soglia-spartiacque tra espansione e contrazione del ciclo, secondo quanto rilevato da Markit Adaci Economics.
Come accennato, il limite massimo di investimento di 30mila euro annui è riferito alla singola persona fisica, non al nucleo familiare. Per la precisione, al fine di usufruire delle agevolazioni fiscali previste è necessario che almeno il 70% del patrimonio del PIR sia investito in strumenti finanziari emessi da società italiane o da società di stati membri dell’UE o aderenti all’accordo sullo Spazio Economico Europeo con stabile organizzazione in Italia; di questo 70%, almeno il 30% deve essere investito in strumenti di società non inserite nell’indice Ftse Mib che comprende i 40 titoli a maggiore capitalizzazione del listino italiano o in indici equivalenti. Per almeno il 21% del portafoglio occorre dunque selezionare titoli di media (mid-caps) e bassa capitalizzazione (small-caps): sul nostro mercato sono 270 società, dalla capitalizzazione complessiva di circa 100 miliardi e scambi pari a quasi il 9% del totale, secondo un rapporto di Intermonte Advisory e Gestione, il quale poi indica in 184 società il potenziale universo investibile, che appare alquanto attraente sotto l’aspetto dei fondamentali e della redditività.
Inoltre uno studio effettuato dal dipartimento Baffi Carefin (Centre for Applied Research on International Markets, Banking, Finance and Regulation) dell’Università Bocconi in collaborazione con Equita Sim ha confermato che focalizzarsi sulle imprese di medie dimensioni appartenenti ai settori dell’eccellenza industriale italiana, come moda o food&beverage, è in grado di assicurare agli investitori rendimenti interessanti.
Unico rischio per i PIR potrebbe essere la scarsa liquidità, che finora è stata alla base del limitato sviluppo di quel mercato. Comunque, secondo uno studio di IrTop, i nuovi contenitori fiscali faranno affluire sull’AIM – vale a dire il mercato di Piazza Affari concepito per promuovere le quotazioni delle Pmi – almeno 1,25 miliardi di euro in cinque anni. Considerato che il listino dei piccoli capitalizza 3,6 miliardi circa, si tratterebbe di un volano considerevole, perché grazie ai PIR arriveranno risorse tali da favorire la liquidità del mercato, le operazioni di IPO (offerta al pubblico dei titoli di società che intendono quotarsi per la prima volta su un mercato regolamentato) e di mercato secondario. Del resto, forme di incentivazione simili ai PIR sono già state adottate in altri Paesi. Con successo. Per tutti.