La moda nei musei
Nel tempo sono sorti infiniti dibattiti sulla liceità del rapporto fra arte e moda, querelle che puntualmente si sono risolte con il ritenere la moda un’arte applicata, in quanto manchevole di una fondamentale caratteristica, propria dei più alti rami dell’arte tradizionale: l’eternità. Un’opera d’arte è per definizione destinata a scrivere la storia, a configurarsi come l’eterno specchio di quella specifica mente creativa o di quello specifico periodo storico. Parallelamente la moda è per sua stessa natura transitoria, destinata ad una fugacità che risulta essere la sua principale ragione di vita, la condicio sine qua non per il suo sviluppo e per la sua stessa sopravvivenza. Inoltre un abito, al di là delle valenze socio-culturali o di stampo estetico che può portare con sé, è prima di tutto un elemento di tipo funzionale, ideato ed utilizzato per scopi pratici, che nulla quindi hanno a che fare con il più intimo valore dell’arte nobile e sovrana che, nella sostanza, rimane fine a se stessa.
Nel corso del “˜900 abbiamo però assistito alla nascita di movimenti artistici che nella loro attuazione hanno promulgato valori e sfide completamente differenti rispetto all’arte tradizionale. Se quest’ultima agiva sul piano della forma, tentando di riprodurre con un tratto di pennello o di scalpello un aspetto della vita umana, un avvenimento, una particolare intuizione, le avanguardie artistiche agivano su un piano totalmente opposto. Esse erano concentrate sull’espressione di un disagio socio-culturale che finiva per rappresentare un preciso momento storico, visto e interpretato dal peculiare spirito dell’artista. Tale cambio di rotta si è manifestato anche attraverso la rottura con il significato più antico, tradizionale dell’opera d’arte. In un klimax ascendente, culminato con il fenomeno del readymade (subito pronto), qualsiasi oggetto, anche il più comune e il più avulso da una classificazione di tipo creativo, se trasportato dal contesto che gli era proprio, alle rassicuranti mura di un museo, poteva diventare un’opera d’arte, destinata quindi ad una vita eterna, destinata a riempire le pagine della storia dell’arte e dell’umanità. Se con l’arte sacra, gli oggetti venivano addirittura svalutati per configurarsi come pezzi museali, Duchamp, rompendo tutti gli schemi e le convinzioni di durata centennale, poté prendere un oggetto comune, frutto della produzione di massa, quale un orinatoio, per trasformarlo in un’opera simbolo di una ben precisa filosofia artistica. Con il cambio dunque dell’aspettativa di vita di un oggetto qualsiasi, cambia anche la sua valenza storica, estetica ed artistica.
A questo punto risulta lampante la centralità dei musei nel conferire dignità intellettuale ed artistica ad oggetti assolutamente insignificanti. L’istituzione è in grado di palesare al mondo e alla storia dell’umanità il frutto di un’intuizione creativa, anche se quest’ultima sembra rinnegare tutto ciò che l’ha preceduta. Ma il museo può farlo. Come istituzione è in grado di destinare all’eternità dei simboli che, proprio perché manchevoli di un filo che li accomuni all’arte precedente, possono vantare un’unicità, una peculiarità visiva e di contenuto che ne sancisce la differenza, l’innovazione, la novità. E proprio per tale motivo il fine ultimo del sistema arte è raggiunto: regalare alla storia nuove pagine, prive spesso di una concatenazione contenutistica con ciò che le ha precedute e altrettanto spesso risultato di un vero e proprio rifiuto storico.
Ed è così che, sulla spinta delle avanguardie artistiche, l’intero sistema ha messo in discussione e rovesciato convinzioni prima fermamente sostenute. Gli orizzonti artistici si sono ampliati a dismisura, lo status di creativo si è radicalmente trasformato e la moda ha fatto capolino, inserendosi nel novero della pura creatività. Se Chanel riforma l’abbigliamento femminile creando l’immagine della donna moderna e proclamando la funzionalità dell’abito, Elsa Schiaparelli fa tesoro dell’arricchimento culturale derivante dai rapporti con i principali artisti dell’epoca e pensa ad una moda in grado di stupire, di lasciare un segno, di scrivere la storia non più dell’abbigliamento, ma di una reale ricerca intellettuale e creativa. Col tempo si fanno strada quindi figure che determinano un cambio di rotta, facendosi portavoce di istanze creative ed artistiche, prima ancora che estetiche o pratiche. Decenni dopo Vivienne Westwood si farà interprete delle medesime convinzioni, diventando la regina di un movimento di strada che segnerà radicalmente la storia della moda e l’approccio stesso alla moda. L’obiettivo non è vestire, coprire, abbigliare, l’obiettivo è farsi ricordare, lasciare un segno che possa essere storicamente riconoscibile.
Non da ultimo, il Metropolitan Museum di New York ha dedicato una retrospettiva ad Alexander Mc Queen, ultimo rivoluzionario e visionario della storia della moda. Grazie alle competenze e alla lungimiranza del Costume Institute e del curatore della mostra Andrew Bolton, una delle istituzioni più autorevoli del panorama artistico contemporaneo ha celebrato una figura che non poteva non impressionare ed entusiasmare anche i critici più severi. Mc Queen è stato in grado, nonostante la sua breve vita, di generare sentimenti contrastanti, di scioccare e allo stesso tempo stupire una platea incredula di ciò che la sua mente fosse in grado di elaborare ed esprimere, attraverso creazioni che non erano dei semplici abiti, ma racconti, rivelazioni, storie appartenenti ai mondi più diversi, anche se talvolta oscuri.
Se dunque un museo come il Met omaggia figure del mondo della moda, indagandone le più profonde intuizioni, non sarà in grado di destinare alla storia creativi appartenenti comunque ad un’arte che è stata classificata come subordinata a quelle invece tradizionalmente maggiori? E se così fosse, non sarebbe questa la dichiarazione di un mutamento di prospettive nel mondo dell’arte? Nonostante la diversità di valore e di intenti fra arte e moda non possa essere messa in discussione, bisogna riconoscere l’attenzione delle istituzioni artistiche a figure centrali della moda, attenzione che permette a tali personaggi di essere consegnati alla storia.