La Moda secondo Chino
Le sue creazioni di alta moda sono state la risposta alla domanda: “Che cos’è veramente l’eleganza?”. Oggi il suo nome è forse dimenticato dai più (compresi alcuni addetti ai lavori del fashion system), ma Chino Bert (nome d’arte di Gianfranco Bertolotti) merita senz’altro di essere riscoperto. Bene ha fatto ad omaggiarlo, dunque, la città di Piacenza che di recente gli ha dedicato la rassegna “L’Eleganza secondo Chino Bert” (a cura di Alessandro Malinverni), proponendo una quarantina di figurini di haute couture realizzati per lo più per Mila Schön e le sorelle Fendi, nonché 20 suoi dipinti esuberanti di colori. Ci si è resi conto, così, che quei modelli raffinatissimi, declinati in collezioni ispirate ai toni rossi, blu, arancio, ed i sofisticati abiti da sposa, sono autentica espressione di genio, di classe assoluta e di lucida visionarietà artistica, modernamente poetica.
Chino Bert (Pavia 1932 – Albenga 2012) fu uno dei massimi protagonisti della moda italiana degli anni Cinquanta e Sessanta, un creativo a tutto tondo che, oltre a lavorare per il proprio atelier, seppe portare al successo altre maison (le già citate Mila Schön e Fendi, e poi Rina Modelli, Jole Veneziani, Pierre Cardin, Loris Abate), cimentandosi successivamente in diversi campi tangenti al mondo dello spettacolo: infatti, fu pure costumista teatrale e televisivo, giornalista e illustratore di moda (per testate come l’Aurore, l’Observer, il Queen Magazine, La Notte di Milano), docente di moda, e persino ideatore del primo numero di L’Uomo Vogue. Si applicò inoltre agli accessori, ai gioielli, ai tessuti (per le lanerie Nattier ed Agnona, le seterie Taroni e Terragni).
I suoi abiti vennero amati e indossati (indossati perché amati) dalle più celebri dive italiane ed internazionali: dalla first lady americana Jacqueline Kennedy alla cantante Mina, dalla stilista Jole Veneziani all’attrice Anna Maria Pierangeli (che egli assunse a “musa”), dall’ereditiera Babe Paley a Marella Agnelli.
Fatti salvi i suoi esordi stilistici, a soli 19 anni, presso la casa di moda milanese Rosandrè, il suo debutto ufficiale nella fashion community italiana (allora ai suoi albori) era avvenuto nel 1953, quando egli aveva presentato a Palazzo Pitti a Firenze un’originale collezione (la linea “Scatola”) destando l’interesse di pochi, ma buoni intenditori quali il Marchese Giorgini e la giornalista Irene Brin, che poi lo segnalarono alla nota sarta romana Maria Antonelli, presso la quale in effetti Chino lavorò alcuni anni. Erano i tempi in cui i trend della moda made in Italy erano dettati da astri di prima grandezza come Roberto Capucci, Emilio Schuberth, Emilio Pucci, Alberto Fabiani. Tuttavia, a far emergere in pieno il suo talento fu soprattutto Maria Carita, alla guida del più rinomato salone di bellezza al mondo, in Rue St. Honorè a Parigi: grazie a lei, Chino Bert ottenne l’opportunità di disegnare per il quotidiano di moda Aurore e per il mensile Art et la mode.
A lui, poi, si deve l’Oscar della Moda di Neiman Marcus che nel 1965 Mila Schön si aggiudicò in USA: dopo gli Europei anche gli Americani furono conquistati dalle creazioni innovative, fresche e raffinate dello stilista italiano, che con le sue linee, colori e ricami, seppe imporre il fascino di un’eleganza senza tempo, che si rifà ad un archetipo di bellezza pura, che trascende il concetto stesso di moda per abbracciare l’ideale dell’arte classica.
Fu ancora la valentia di Chino a contribuire in modo determinante al successo di una allora sconosciuta maison fondata da tre sorelle romane – Paola, Carla ed Anna – che nel 1965 gli affidarono il design della loro prima collezione di pellicce. La sfilata fu trionfale e il nome di Fendi guadagnò fama mondiale.
Ma come si traduce in forma e sostanza il mito dell’eleganza di Chino? I suoi abiti lussuosi, in tessuti di pregio, sono allo stesso tempo semplici, come quadri rinascimentali ma soprattutto come opere Liberty, discreti negli accordi cromatici (lo stilista prediligeva il bianco), ma spettacolari in virtù di inserti floreali (la sua passione furono le rose), animati da contrasti chiaroscurali spesso ottenuti con alternanza di tessuti lucidi e opachi, tra geometrie perfette e sorprendenti “anacoluti stilistici”, tra volumi ampi e masse contenute; poi si arricchiscono di accessori dal notevole effetto decorativo quali velette, cuffie con ricami (spesso dorati), perle o altre gemme. La donna a cui egli guardò sempre con venerazione è sì una figura borghese, ma è soprattutto una figura angelicata, ideale, pudica, uscita dalla sua matita delicata e rispettosa nei sentimenti, quanto rigorosa nella tecnica costruttiva.
Uomo di profonda spiritualità, lo stilista decise ad un certo punto di entrare nell’Ordine benedettino, senza tuttavia cessare mai di dedicarsi alla moda e all’arte (dal figurativo all’astratto e all’informale, con esiti interessanti). Scelse così di farsi “artista di Dio”, intuendo forse che solo in Lui poteva trovare la vera bellezza e la bella verità.