La “pagina bianca” di Lisa Romanyuk
Il ritardo ha contribuito ad aumentare le aspettative per la sfilata della designer russa Lisa Romanyuk, evento molto atteso perchè anche occasione di celebrazione del ventesimo anniversario della sua casa di moda Vemina. Domina incontrastato il bianco, scelto per l’ambientazione e la passerella, quasi a sottolineare l’idea di “pagina bianca” dalla quale la stilista vuole ripartire per rinnovarsi e cercare nuove vie creative, in linea con la contemporaneità.
Ed è proprio con un capo bianco che si apre il défilé, ancheggiando a ritmo di musica jazz la prima modella si fa portatrice dei segni distintivi che ricorreranno in tutta la collezione: cappotti e giacche incorniciati da polsi e colli di morbida pelliccia, linee a “clessidra” che fasciano la silouhette, preziosi origami e decori. Seguono outfit particolari, a metà tra la divisa sportiva invernale e il lusso delle passeggiate nelle località montane più in, nei quali forte è il richiamo della tradizione russa che impreziosisce con disegni “barocchi” tessuti tecnici. La donna non è più la sciatrice goffa dalle forme nascoste sotto pesanti giacconi, bensì una snella e provocante figura sicura di sè, che illumina le montagne con i riflessi degli strass e delle paillettes della sua tuta.
Al cambio della terza canzone in sottofondo, si fanno avanti capi più classici. La maglieria morbida, lavorata in grosse trecce, dà forma a lunghi cardigan ripresi in vita da cinture, accompagnati da pantaloni in jersey lucido e pellicciotti smanicati. La pelliccia è infatti il materiale più prezioso, con il quale la stilista gioca, proponendolo a piccole dosi in ogni abito. Colpiscono, in particolare, due fantasie animalier: la prima, zebrata striata, caratterizza gli stivali della modella decorati con pietre color oro e la seconda, leopardata, scelta per un soprabito classico e per accentuare il girovita in un vestito color cipria. Degni di nota sono dei leggins neri con fascia laterale in velluto che alzano la figura.
Azzardati sono, invece, i capi in pelle, che marcano il passaggio dalla donna elegante a quella più casual. I colori si fanno accesi, ma le tonalità risultano quasi incompatibili. Il rosso corallo di una giacca-abito è accompagnato da scarpe e pashmina viola, un tailleur monocolore sul tono del rosa antico da stivali morbidi ma “spenti”. La situazione in passerella si risolleva con l’apparire di eleganti e leggere giacche monobottone accompagnate da pantaloni in tessuto jersey: oltre al particolare taglio del collo, la stilista sceglie dei sottogiacca in seta o arricchiti da paillettes.
La collezione si conclude con i “pezzi forti”: lunghi abiti da sera con increspature, prepotenti drappeggi, dettagli plissettati e texture che non donerebbero a tutte. La linea a clessidra ritorna anche in questi capi sottolineando la femminilità del corpo, ma sia i tessuti che gli “arricchimenti” appesantiscono l’immagine, mortificando la forma del vestito stesso.
Prima dei saluti finali della stilista, compare un inaspettato abito bianco, con inserti damascati ed importanti spalle dalla reminiscenza filippina, caratterizzato da fitte pieghe nella lunga gonna. Ci domandiamo, quindi, se il bianco sia stato scelto per la sua valenza classica che lo vede come colore degli abiti nuziali oppure se questo capo si ricolleghi all’idea di pagina bianca chiudendo un immaginario cerchio creativo.