La preziosit è sacra
A dispetto della desacralizzazione della società che ha portato alla perdita dei significati ideali di alcuni elementi (come ha magistralmente messo in luce Mircea Eliade in varie sue opere), i gioielli – dall’antico Egitto all’ebraica stella di David, dalla collana della salute nepalese alla croce cristiana – sono tuttora investiti di valori simbolici, assurgendo, oltre che a emblemi di status sociale, estetico e culturale, a codici di comunicazione fra cielo e terra, medium in grado di unire divino e umano, sacro e profano.
Ciò era molto evidente nel passato. Si vedano, ad esempio, quegli importanti accessori dell’abbigliamento femminile che furono le cinture (associate ai rituali matrimoniali fin dai tempi più remoti), accompagnate da preziosi pendenti come gli “agnusdei” (tavolette raffiguranti l’agnello mistico) od i “paternostri” (rosari con grani apribili contenenti immagini devozionali).
Un’eccellente dimostrazione viene pure da quei gioielli che sono diventati reliquie, come il Sacro Anello della Vergine (detto “Città della Beata Vergine”) conservato nel Duomo di Perugia e intensamente venerato in ossequio ad una leggenda che lo vuole essere la fede con cui Giuseppe sposò Maria di Nazareth. Si tratta di un cerchietto piuttosto largo, in onice (pietra il cui uso in gioielleria è attestato in diversi passi del libro biblico dell’Esodo), il cui culto ha alla base una spinta emotiva legata alla protezione esercitata sulle unioni matrimoniali. Ancora oggi, pertanto, molti giovani perugini fanno benedire le loro vere nuziali in occasione delle due esposizioni annuali della reliquia: il 30 Luglio e la penultima domenica di Gennaio (Sposalizio della Vergine).
Nei gioielli sacri ricorrono spesso immagini di fiori, pregne di simbolismo, a cominciare dalla rosa, “icona” d’amore non solo sensuale, ma anche e soprattutto divino e spirituale. In particolare, la rosa è uno degli attributi più comuni della Madonna, emblema di purezza e verginità (un tempo le corone del rosario erano realizzate col profumato legno di tale arbusto; le stesse Sacre Scritture definiscono la Vergine “rosa di Gerico” o “rosa di Sharon” e il “Cantico dei Cantici” chiama l’amata “hortus conclusus”, giardino chiuso).
Splendide sono certe creazioni floreali in filigrana in cui le decorazioni floreali propongono modelli di perfetta condotta morale per i cristiani. Il mistico gesuita Leroy Alard scriveva in “La Sainteté de la Vie tirée de la considération des plantes” (1641): “Dalla rosa si impara a diffondere il profumo dolce e fragrante della virtù; il giglio insegna la castità; il girasole mostra la conformità che la volontà umana deve dimostrare con quella di Dio; il giacinto stimola alla meditazione delle cose celesti; la corona imperiale suggerisce il disdegno per le glorie mondane; l’amaranto genera il disprezzo per le cose terrestri; il gladiolo e l’iris insegnano la pazienza; l’anemone apre il cuore per ricevere gli insegnamenti dello Spirito Santo; il narciso porta a trascurare la bellezza pericolosa; il garofano condanna i profumi dei corpi corrotti; il tulipano abbraccia l’anima con il desiderio di essere ornata di una grande varietà di virtù; la margherita incita le persone religiose a lodare Dio di buon mattino; le pansé accrescono i bei pensieri rivolti a Dio, a se stessi, al prossimo e alla morte”. La conclusione, splendida, è: ” Non esiste fiore così piccolo o così comune dal quale le persone virtuose non possano trarre qualche lezione salutare”.
E non esiste gioiello sacro – aggiungiamo noi – tanto modesto da non tornare a gloria del suo creatore e, quindi, del Creatore.
D’altro canto, Paul Claudel nel suo celebre saggio “La mistica delle pietre preziose”, che gli fu ispirato nel 1929 dal conferimento della Legion d’onore al grande gioielliere Pierre Cardin, sfata l’immagine della pietra preziosa come simbolo di vanità, materialismo, brama di ricchezza e, partendo dal principio secondo cui ogni vivente ha una sua luce interiore e anela al trascendente, considera le gemme come espressione della luce divina che ha originato il mondo (nel libro dell’Esodo sono enumerate le dodici pietre incastonate nel pettorale del gran sacerdote Aronne, a rappresentare le dodici tribù d’Israele e i dodici attributi di Dio; dodici sono pure le pietre che formano i bastioni su cui si regge la Gerusalemme Celeste descritta nell’Apocalisse).
Il diamante, pietra preziosa per eccellenza, immortale e incorruttibile, è simbolo massimo di Cristo, modello di perfezione per ogni uomo. E come il diamante grezzo, per brillare, ha bisogno della mano dell’uomo che lo sfaccetta, così l’uomo ha bisogno di Dio per migliorare se stesso. Lo zaffiro è l’Occhio di Dio che si concretizza nel Verbo. Il rubino è simbolo del fuoco che Gesù fattosi uomo ha portato nel mondo (l’anello con rubino indossato dai primi vescovi cristiani ricordava il sangue dei martiri). Lo smeraldo è simbolo della speranza che si sostanzia nella fede. La sardonica (varietà di onice in cui si alternano strati bianchi con strati di corniola rossi e di sarda bruni) è emblema della discesa di Cristo nel Limbo fino all’Inferno. La corniola rossa simbolizza la Risurrezione con cui Cristo ha testimoniato la sua potenza. Il crisolito (o peridoto o olivina), di colore giallo-verde, indica l’ascensione, ovvero la purificazione tramite l’elevazione al cielo. L’acquamarina racchiude il messaggio di Gesù alla Madonna e simboleggia il giudizio di Dio che penetra ovunque rendendoci trasparenti al suo cospetto. Il topazio giallo è simbolo della fiducia e del coraggio donati dallo Spirito Santo. Il crisoprasio giallo-verde è immagine della Chiesa che si fonda sulla forza di Cristo. Il giacinto giallo-arancio, allude al valore della penitenza grazie alla quale si ottiene la remissione dei peccati. L’ametista esprime la rinascita della carne, che dal dolore del sangue passa alla gioia del cielo.
Per Claudel gli uomini sono pietre vive da fabbricare sulla pietra angolare e, quindi, la redenzione comincia con un rigoroso esame di coscienza che, alla fine, li porta ad affinare sempre più il loro spirito. L’anima è come una perla che non possiede altro valore che la sua bellezza intrinseca. In definitiva, l’uomo deve ascoltare il suo io più profondo – come anche Sant’Agostino esortava – per attingere alla luce del Cielo.
Tutt’oggi, malgrado la desacralizzazione della vita che ha condotto al risveglio dell’a-religiosità, non mancano artisti e artigiani orafi che abbiano approcciato le tematiche religiose e intrapreso la creazione di gioielli “speciali”, cercando di fondere arte e design, moda e tradizione, e sviluppando sinergie tra industria e manualità.
Si pensi alla croce di cubi d’oro giallo e bianco disegnata da Dalì nei primi anni ’50 per simboleggiare la passione di Cristo. O le creazioni di Mario Pinton, fondatore della cosiddetta “Scuola di Padova”, fra cui innumerevoli medaglie, pendenti, collane, spille per bambini (raffiguranti cherubini, Madonne, corone di spine, figure di Sant’Antonio, ecc.), oltre a vere e proprie opere liturgiche (paliotto e suppellettili per il Duomo di Abano). O le croci “tecnologiche” di Alberto Giorgi di Fano, totem della coscienza moderna, o ancora gli evocativi anelli e spille del valenzano Paolo Spalla, legati alla simbologia del triangolo trinitario. Potremmo citare infine i gioielli di Francesco Pavan, Giampaolo Babetto, Alberto Zorzi, Laura Rivalta, Bruno Martinazzi, che recuperano gli archetipi di un sentimento sacro ancestrale, trasportandoli in una dimensione contemporanea con un linguaggio allusivo che richiama il trascendente e fa dell’oro un simbolo imperituro del sublime a cui l’umanità tende.
Forse attraverso la luce di un gioiello è ancora possibile ribaltare il processo di degradazione simbolica indicato da Mircea Eliade e recuperare la sacralità di tutto ciò che è prezioso. A cominciare dall’essere umano.