L’anima bella della mondanità
Nobildonne e borghesi dell’alta società milanese e veneziana del primo Novecento. Dame bellissime nella loro eleganza mondana, piene di passione nella loro quotidianità, affascinanti nella loro psicologia gestuale, sono state le protagoniste assolute della straordinaria mostra, “Lino Selvatico. Mondanità e passione quotidiana”. Allestita nelle sale dei Musei Civici agli Eremitani, da settembre a dicembre 2017, con essa Padova -in collaborazione con il Comitato Celebrazioni Lino Selvatico Pittore-, ha reso omaggio ad uno dei suoi artisti più eminenti ancorché veneziano d’adozione, Lino Selvatico (1872-1924), la cui rivalutazione è in corso ormai da anni. In effetti egli fu tra i più stimati e richiesti ritrattisti al volgere del XIX secolo, ritenuto “squisito indagatore dell’anima attraverso le fattezze del volto umano” (la definizione è di Pompeo Molmenti).
Questo pittore (figlio di quel Riccardo Selvatico che fu poeta, commediografo, presidente dell’Accademia di Belle Arti e sindaco di Venezia, nonché co-fondatore della Biennale nel 1895) dedicò sempre alle donne uno sguardo attento e sensibile, riuscendo a coglierne non solo la parvenza esteriore, ma anche i moti dell’animo. Pochi come lui hanno saputo levare dalla mondanità il velo di frivolezza ed effimero edonismo che solitamente la avvolge, proprio perché è riuscito a conferire peso interiore, solidità mentale, spirituale e affettiva, alle sue creature da salotto, ricorrendo ad una pennellata fluida, moderna, vibrante – pur non rinnegando tecniche e stilemi naturalistici dell’800 – ma soprattutto giocando con la luce.
Nelle grandi tele di Lino Selvatico è appunto la luce a ricreare la consistenza estetica di volti, corpi, abiti, che emergono dall’ombra dello sfondo: questi riflessi luministici, che rendono gli sguardi repentini e seducenti, gli incarnati freschi e polposi, le posture naturali e immediate, danno fragranza e calore alla vita mondana, senza privarla tuttavia di quel delicato alone di malinconia che le dona tenero languore.
Così possiamo immaginarci gli atelier sartoriali dell’epoca – è il tempo della Belle époque – dal cui lavoro febbrile escono abiti da giorno, da pomeriggio, da sera, per i concerti, per il teatro, per le corse dei cavalli, per la gita in automobile, per visite, per riunioni di famiglia, per cerimonie, per i balli, ecc. E la pittura di Selvatico documenta tutto questo, sottolineando fra l’altro quella rivoluzione del costume che affrancò il corpo femminile da busti e altri capi costrittivi, regalandogli la gioia di nuovi tessuti, nuove decorazioni, nuovi tagli e stili ispirati al linearismo e alle curve sinuose dell’Art Nouveau.
In mostra a Padova è stata inserita anche una galleria di dipinti dedicati alla moglie Francesca, la cui bellezza dolce, semplice, prodiga, ha suggerito all’artista una diversa cifra stilistica: in effetti i suoi ritratti ci restituiscono un’immagine idealizzata e trasfigurata della donna, resa ancora più leggiadra nei diversi ruoli in cui il marito la raffigura: modella, amante, moglie e madre.
Gentildonne, modelle e studi di nudo, alcuni paesaggi e opere di altro soggetto hanno formano comunque il nucleo portante di questa esposizione, nel cui percorso erano compresi anche una sessantina di disegni e stampe in dialogo con i cinquanta dipinti: studi preparatori ed interpretazioni grafiche dei soggetti più cari all’artista che ne rivelano l’altissima qualità di disegnatore e d’incisore, sperimentatore di tecniche raffinatissime (in particolare nei nudi femminili): sono il risultato delle sue profonde e personalissime meditazioni sull’arte.