L’anno che verrà
Come caldeggiava il grande Victor Hugo, “Salutiamo insieme questo nuovo anno che invecchia la nostra amicizia senza invecchiare il nostro cuore”.
Natale è da poco trascorso e un altro anno sta per volgere alla sua foce, tra feste, incontri, riflessioni di fine viaggio.
Ci restano i segni, per orientarci verso il futuro. E nessun simbolo, in questo periodo, ci sembra fuori contesto. L’abete richiama il concetto di Cristo-Albero della Vita ed i decori che vi si appendono rappresentano la luce e l’amore divini dispensati agli uomini. Le bacche rosse dell’agrifoglio alludono al Sole-Bambino che rischiara l’aurora delle origini. Del presepe sappiamo che venne allestito per la prima volta da San Francesco in una grotta di Greccio, forse nel 1223, ispirato alle rappresentazioni liturgiche descritte dai Vangeli. Babbo Natale – a prescindere dalla metamorfosi in rosso impostagli dalla Coca-Cola a fini commerciali – deriva dalla figura di San Nicola (Sanctus Nicolaus, donde Santa Claus), che fu vescovo di Mira in Asia Minore nel IV secolo, molto amato per la sua carità e benevolenza soprattutto nei confronti dei giovani. Anche il personaggio della Befana, la vecchina tanto brutta quanto generosa con i bambini, ha una lontana origine, identificandosi con un simbolo arcaico di madre natura, poi cristianizzato e celebrato in occasione della “manifestazione visibile di Cristo”, ovvero l’Epifania.
Il Capodanno, il cui folclore era già consolidato agli albori dell’Impero di Roma, era l’occasione principe per lo scambio dei doni: il 1° Gennaio infatti gli antichi Romani erano soliti invitare a pranzo gli amici e scambiarsi vasi bianchi contenenti miele con datteri e fichi accompagnati da rami d’alloro come augurio di buona sorte per i dodici mesi a venire. Da questa felice consuetudine, quindi, è derivata la nostra pratica di farci regali in questo periodo dell’anno. Offrire qualcosa a qualcuno, insomma, è un po’ come dirgli che sappiamo cosa gli è necessario e vogliamo soddisfare questo suo bisogno per renderlo felice. La moda, la pubblicità, l’abitudine, il dovere, dovrebbero agire solo a margine quando si sceglie un oggetto da regalare: il dono è anche e soprattutto amore. Nel canto natalizio “Adeste fideles” c’è un’espressione profonda: “Sic nos amantem quis non redamaret?” (Come non riamare uno che ci ha amato tanto?).
L’amore ha bisogno di tradursi in gesti concreti. L’incanto del Natale, in effetti, consiste anche nella scoperta, dentro di noi, di sentimenti che forse durante il resto dell’anno sono un po’ trascurati, come la felicità di donare appunto, la solidarietà verso chi ha dei problemi, l’affetto disinteressato. Quindi, anche se il Natale talvolta si riduce a mero trionfo del marketing e se il mostrarsi allegri sembra imposto quasi come un dovere mentre chi soffre prova ancora più dolore e senso di abbandono, è pur vero che, se davvero lo vogliamo, qualcosa può essere diverso. In fondo, c’è un po’ in tutti voglia di pace, di recuperare certi ideali e sensazioni, di credere in qualcosa e pure di lasciarsi andare ai più reconditi turbamenti.
La gioia autentica del Natale in fondo è tutta qui e può irradiarsi a tutto il resto dell’anno se non ci rassegniamo a vivere nelle tenebre del mondo.
Come esortava Benjamin Franklin, “Sii sempre in guerra con i tuoi vizi, in pace con i tuoi vicini, e lascia che ogni nuovo anno ti trovi un uomo migliore”.
Buon 2020 a tutti!