Le creazioni di Stella Jean. Un ponte tra due culture.
Intravista a gennaio ad Altaroma durante la presentazione della sua collezione sulle passerelle di Altamoda a Roma, abbiamo incontrato Stella Jean a Milano al salone White.
Semplice, vitale, delicata, colta, simpatica, elegante. Con una eleganza innata –vero charme- fatta di buon portamento -perfezionato con la sua esperienza professionale come indossatrice-; naturalezza dove la semplicità confina la autenticità; buon gusto derivato dalla cultura familiare; bon-ton frutto di disciplina e ancora di eredità familiare. Molto femminile: con una femminilità consapevole, discreta e riservata, luminosa e accogliente, seducente e pacatamente sensuale. Possono sembrare tanti gli aggettivi usati per definire Stella Jean, giovane stilista romana –e ci tiene ad essere considerata tale-, nata da padre piemontese e madre haitiana: un amalgama in cui si sono fuse due culture, una miscela che caratterizza fortemente le sue creazioni. Sono tanti e ci resta ancora da segnalare un impegno a cui tiene naturalmente moltissimo, il Fashion-Able Haiti, un progetto promosso dall’Ambasciata di Haiti in Italia per la ripresa, dopo il disastroso terremoto del 2010, dell’economia dell’Isola attraverso la Moda.
Entriamo in questa ricca e spumeggiante personalità femminile attraverso le risposte alle nostre domande.
Dal risultato che ottieni sembra che la moda sia per te una vera passione. Una passione da sempre o maturata con gli anni?
Ho iniziato nella moda come indossatrice. Nel momento stesso in cui sono entrata per la prima volta in un laboratorio di sartoria per il mio primo fitting, ho capito di essere nel mio habitat. Ho “corretto il tiro” e ho trovato la mia personale dimensione nella possibilità di espressione come stilista. La moda mi si è rivelata come una passione innata che si è poi raffinata nella sua evoluzione nei momenti in cui ho trovato ostacoli che l’hanno messa alla prova alimentandola e confermandone la consistenza. Questa crescita penso sia derivata da applicazione costante e dalla consapevolezza di iniziare una lezione ogni volta che entro in laboratorio: non smetto mai d’imparare.
Non basta però essere fortemente interessati a qualcosa per ottenere dei risultati, c’è bisogno di tecnica. Cosa è stato determinante della tua formazione precedente per il successo nella tua professione di stilista? Quale è stato il tuo percorso formativo?
Ho un percorso professionale poco canonico e convenzionale. Il fatto d’ iniziare come indossatrice mi ha permesso di compiere un “furto con destrezza” dei vari modi di sentire e riflettere la moda dei diversi creatori che, con le loro espressioni ed i loro codici estetici mi hanno permesso di inquadrare i molteplici punti di vista del tema moda e dell’abito concretamente.
Ho avuto la fortuna di avere una maestra nella mia première d’atelier, un’artista che ha lavorato con i grandi nomi dell’alta moda. Affiancarla in sartoria per anni mi ha aperto un mondo, fatto di estro unito ad una tecnica che non si scrive, ma si tramanda.
Io non disegno. La carta è a mio avviso un alleato ingannevole poiché si possono realizzare superbi abiti su carta ma poi, che queste creazioni risultino donanti sul corpo, è tutta un’altra storia. Per questo motivo penso che il corpo e tutte le sue dimensioni debbano rappresentare il punto di partenza e non di arrivo della creazione.
Le tue collezioni sembrano una ricerca di radici tue personali, molto, molto lontane: ti rifai per esempio ai tessuti delle stampe africane. Rivelano anche la voglia di valorizzare una cultura. Sembrerebbe che all’ improvviso hai scoperto una parte di te e vuoi dare con il tuo lavoro spazio a questa novità e fare apprezzare la spontaneità, la solarità, l’allegria, i colori dei Paesi caraibici. E’ così?
Viene spesso sottolineato l’uso passionale che faccio del wax africano, tralasciando il ruolo chiave che rappresenta il mio cotè italiano paterno e cioè le camicie a righe da uomo. Le camicie non urlano come il wax , ma come quest’ultimo sono lì a simbolizzare ciò che sono: il risultato di due culture, quella occidentale e quella creola, due identità opposte che cercano una base di dialogo paritario.
Il risultato è un sincretismo socio-culturale che trova la sua soluzione nell’affermazione di una multiculturalità sofisticata.
C’e ancora qualche altro intento che ti proponi con questo “ponte” che stai costruendo tra le due culture: l’europea e più concretamente l’italiana e la haitiana?
La collezione presentata a luglio 2011 è significata per me la pace fatta con due componenti così opposte della mia identità. Non è semplice riuscire a destreggiarsi nel contrasto emozionale che provocano queste due parti opposte del mio stesso Io. La moda mi ha concesso un ampio “spazio di manovra” dove poter finalmente far respirare queste due culture e trasformare un tallone d’Achille in punto di forza e di partenza.
Questa collezione è una sincera dichiarazione d’intenti che vuole però ramificarsi in ulteriori matrimoni culturali. Per fare questo sarà necessario il tempo per conoscere e studiare le varie culture e tradizioni che voglio miscelare. Ciò che più temo è la superficialità con cui si utilizzano le tradizioni e gli stili delle culture a sud dell’equatore: con una lieve tendenza alla caricatura ed alla parodia. Io tratto queste culture con l’ironia necessaria a permetterne una miscela, ma con tutto il rispetto che deve’essere riconosciuto alle varie identità. Non ci sono limiti alla possibilità di abbinamenti culturali salvo il buon senso e l’educazione.
Ho apprezzato molto la femminilità che hai saputo trasmettere: luminosa, morbida, accogliente, seduttiva, leggermente sensuale, mai erotica. Ti sei distanziata dalla tentazione di richiamare l’attenzione attraverso l’eccentrico e il trasgressivo, e ciò è non è poco per chi inizia a presentarsi ai media ed ha bisogno di visibilità. Questo è una scelta stilistica, una scelta di vita – quindi una scelta etica-, o solo un modo per presentarsi diversa?
Di eccentrico e trasgressivo abbiamo visto tutto e più di tutto. L’eccentricità autoreferenziale mi annoia e la trovo semplicemente banale, in grado di farci rimpiangere le tante “‘buone cose di pessimo gusto” che avevano in se la prerogativa di non cercare disperatamente l’effetto shock. La femminilità che trasmetto è il riflesso del flusso del mio essere in questo preciso momento, non vuol essere un facile captatio benevolentiae ma semplicemente un modo per riscoprire l’appeal, il fascino eterno dell’eleganza, non la definirei una scelta etica, ma piuttosto una necessità di ricerca di un “buon-senso dello stile. Vedo in una ritrovata grazia nei modi e nelle forme il più lussuoso ed esclusivo degli accessori, in grado di salvare qualsiasi mise.
Il tuo lavoro valorizza molto l’artigianalità: colori a mano i tessuti, utilizzi il ricamo ecc., ma ciò, da un punto di vista di mercato, non paga.
Sento la necessità di parlare e in qualche modo conservare dei gesti antichi che rischiamo di perdere; voglio sottolinearne l’appeal a generazioni di fast fashion.
Dietro alle mie collezioni ed a ogni singolo capo ci sono delle persone e delle mani che lavorano, non programmi od applicazioni del computer; conservare il lato umano del lavoro è per me fondamentale per mantenere un dialogo con il fruitore finale. Non amo parlare di mercato che ha una valenza informe nel mio pensiero, ma bensì di clienti , che spero siano curiosi di capire la storia dietro le mie collezioni.
Cosa è per te la creatività?
L’inarrestabile flusso estetico dell’Io.
I tuoi progetti futuri.
Capire come far incontrare altre culture che mi appassionano, quali le orientali, proponendo un concetto di multiculturalità non pedante ma sofisticato ed inaspettato, usando come chiave di lettura gl’inevitabili ossimori stilistici e l’ironia (q.b).
Il lavoro di Stella Jean rivela tutta la passione con cui viene svolto; al di là del fatto che il suo stile possa piacere o meno, è espressione sincera di se stessa e del suo mondo.