Le gemme dei principini di Savoia
Trasformata in un pittorico Kindergarten, una sala della Palazzina di Caccia di Stupinigi, presso Torino, accoglie i ritratti dei piccoli principi di Casa Savoia, eseguiti nel Seicento e Settecento da diversi artisti.
Sono immagini che rappresentano per noi una significativa testimonianza del costume di corte del tempo, interessanti anche dal punto di vista della gioielleria.
Portiamo subito qualche esempio: in una bella tela di Francesco Cairo (1639 circa) ci appaiono i piccoli Francesco Giacinto e Carlo Emanuele II, riccamente agghindati in abiti femminili (per l’infanzia vigeva questa pratica), i quali recano entrambi sul petto preziose collane d’oro con grandi croci tempestate di zaffiri e diamanti.
Magnifici sono, poi, la spilla a croce (con 5 grandi diamanti) ed il fermaglio per capelli (sempre di diamanti) della vezzosa infante Maria Luisa Gabriella, colta con un pappagallino alla catena (d’oro, naturalmente), opera della pittrice Maria Giovanna Battista Clementi (detta la Clementina). Quest’ultima è anche l’autrice dell’intenso ritratto di Vittorio Amedeo III, pure lui adornato di gemme: sul petto una croce di diamanti, varie pietre preziose sulla fibbia della cintura e l’elsa d’oro della spadina a fianco. E della Clementina è, parimenti, la deliziosa raffigurazione di Vittorio Amedeo Teodoro, con una favolosa spilla di rubini e diamanti (ancora incastonati in una croce).
Uno splendido pendente d’oro filigranato che riproduce una scena sacra rifulge, invece, sul petto del giovane Carlo Emanuele IV (con tanto di parrucca bianca alla moda francese), dipinto da Giuseppe Duprà negli anni ’60 del Settecento. A tale artista di devono anche le belle tele con Carlo Felice (ai cui piedi è accovacciato un cagnolino dal collare d’argento), Vittorio Emanuele I, Maria Teresa, Maria Giuseppina (con un pregevole cerchietto per capelli impreziosito di diamanti e ai lobi un paio di pesanti orecchini), Maurizio Giuseppe, tutti con le loro spilline cariche di gemme ed i loro ninnoli (oltre ai cagnetti, colombe, fiorellini).
Ma questi ritratti ci illuminano anche sulla severa e un po’ tetra educazione a cui furono sottoposti i bambini della corte sabauda nella Torino settecentesca, descritta da varie fonti come una scacchiera di caserme e conventi.
Nel torreggiante Palazzo Reale, incipriato di decorazioni barocche, i rampolli dei Savoia, appena nati, venivano immediatamente separati dalla madre ed affidati alle cure delle nutrici. La vita dei principini doveva essere veramente plumbea, come traspare dalle “Istruzioni” impartite ad esempio da Carlo Emanuele III nel 1756 per il figlio Vittorio Amedeo III: sveglia in ore antelucane, recita in ginocchio di preghiere, abluzioni, ancora preghiere, colazione, pranzo, passeggiata, studio, conversazione, preghiere, letto, per ricominciare tutto daccapo l’indomani. A tavola il bambino non aveva commensali ed era attorniato da una pletora di servitori. In carrozza stava solo, nessuno poteva fargli visita senza il permesso del governatore, che assisteva ad ogni colloquio. Con i piccoli sabaudi non si brandiva il bastone, dunque, ma il crocifisso, tanto da far dire a qualcuno che la Casa Reale più che una reggia sembrava un monastero. Merito (o colpa) soprattutto della regina Maria Antonietta Ferdinanda di Spagna (moglie di Vittorio Amedeo III), della quale è stato scritto che “era brutta come una scimmia e bigotta come un sagrestano”.
Ebbero destini molto diversi questi infanti reali: alcuni arrivarono a cingere la corona, altri comandarono eserciti, altri ancora morirono in tenera età. Ma tutti, malgrado i loro agi, furono accomunati dalla medesima infanzia: non proprio felice.