Le giornaliste di moda nel cinema
Nel corso del tempo il cinema ha indagato le dinamiche trainanti il mondo della moda, fornendo un’immagine estremizzata e talvolta stereotipata di un settore in cui la frivolezza e la superficialità diventano i pilastri dell’agire umano.
Una delle figure su cui la cinematografia ha costruito un preciso e ben definito immaginario è quella della direttrice delle cosiddette Bibbie della moda, riviste che regolano inevitabilmente l’andamento dell’intero fashion system. Dal successo di Stanley Donen con “Funny Face” del 1957 al più recente “Il diavolo veste Prada”, la mente guida del giornale è costantemente accostata ad una donna investita della responsabilità di plasmare un immaginario estetico e comportamentale, che possa diventare un modello effettivo non solo per gli addetti ai lavori, ma anche per un più vasto pubblico non specializzato. Data la notevole imponenza delle conseguenze oggettive di una tale missione, viene da chiedersi se quest’ultima possa essere considerata etero diretta, quindi strumentale a precisi fini commerciali o politici, o il risultato di un ego guidato dalla volontà di forgiare i comportamenti e le convinzioni altrui. Ed inoltre bisognerebbe valutare quanto il cinema abbia volutamente enfatizzato una simile immagine o più semplicemente fornito il ritratto di una realtà esistente. In entrambi i casi, il risultato coincide con un’importante influenza sul pubblico.
Altro aspetto interessante è comprendere come l’indole femminile consideri e gestisca delle responsabilità tanto affascinanti quanto complesse. Qual è il modo in cui una donna vive una così grande influenza? E ancora, quali sono gli effetti della consapevolezza di tale potere fascinatorio? Il cinema offre l’immagine di donne impenetrabili, dallo spiccato autocontrollo, accomunate però da atteggiamenti nevrotici e talvolta incomprensibili. Lasciando per un attimo in secondo piano il ritratto cinematografico, per definizione simulato, è ragionevole pensare che le azioni e le reazioni femminili a precisi privilegi siano diverse da quelle maschili? In risposta ad un fotografo innamorato di una comune bibliotecaria, la temuta direttrice di Quality ricorda quanto le persone facenti parte del loro mondo siano fredde, artificiali e prive di sentimenti, quindi per natura inadatte ad una vita convenzionalmente normale. Anna Wintour in “The September Issue” afferma che coloro i quali stigmatizzano la moda come il trionfo della superficialità si sentono in realtà semplicemente fuori da un giro di cui desidererebbero far parte. Amanda Priestley è una donna che nasconde profonde debolezze e che apparentemente non riesce ad avere una serena vita affettiva.
Ne emerge un ritratto controverso che dà adito ad una serie infinita di interrogativi, ai quali spesso si corre il rischio di fornire delle risposte semplicistiche e prive di portata. Doveroso però è riuscire a distinguere la rappresentazione dalla realtà effettiva, entità che spesso rischiano di confondersi, data la vasta influenza che mezzi di comunicazione come il cinema o la televisione sono in grado di esercitare sul grande pubblico.