Le pericolose costruzioni di Gaetano Navarra
Quale pericolo si corre a sfilare con un vertiginoso tacco da 20 centimetri e con una scarpa insicura dato che è fatta da un massiccio plateau e fasce di daino che avvolgono il piede e si annodano a fiocco sopra il tallone? Bisognerebbe accusare gli stilisti di tentato omicidio.
Gaetano Navarra ha imposte scarpe e tacchi così pericolosi alle modelle che indossavano gli abiti della sua collezione autunno/inverno 2010/2011.
Il loro incedere era rigido, impacciato, timoroso, incerto; lo sguardo fisso di chi ha una obiettivo pericoloso da raggiungere: arrivare alla fine della passerella. Tutto ciò ha tenuto le spettatrici, consapevoli del pericolo che correvano le loro colleghe donne, con il fiato sospeso, più attente a guardare le scarpe e lo stato di equilibrio del piede che le creazioni dello stilista bolognese. Ma nessuna è precipitata da tali altezze.
Ed allora lasciamo le scarpe per guardare un’altra “esagerazione” di Gaetano Navarra: i bijoux, collane composte da grosse sfere in argento lucido. Ma gli eccessi non sono finiti: troppe le contaminazioni di materiali, così come gli effetti ottenuti dalla sovrapposizione di uno stile evidentemente aggressivo, fatto di borchie e catene e materiali rigidi, con elementi iperfemminili, come le rouches o l’uso dei pizzi. “Mi sono lasciato prendere dal gioco della rivisitazione, ma, ancor più, dagli intrighi che nascono dalle contaminazioni materiche, con risultati che puntano all’originalità e alla novità, senza però dimenticare la lezione fondamentale della sartorialità, delle costruzioni studiate ed accurate. Concedendomi il piacere di qualche calcolato eccesso che regala alla collezione vibrazioni inconsuete“.
Filo conduttore della collezione è il metallo. Oltre alle collane, borchie metalliche di misura differente costruiscono abiti e gonne che diventano delle vere armature o solcano i plissé; catene si addossano alle maglie tricottate. Bottoni grandi, quasi una nuova interpretazione delle borchie, chiudano gli abiti o i capospalla in doppia serie di sei o di otto, formano una cintura per gli abiti armatura, adornano le mostrine che enfatizzano le spalle, sottolineano la costruzione di uno pseudo gilet grigio portato su un abito plissè color carne. Microborchie invece per creare una blusa a squame color carne con una grande rouche per accompagnare una gonna a piccoli quadri e pizzo o una gonna corta a corolla. Metallo per dar vita ad una alta cintura e sottolineare sui fianchi la balza a nido d’ape di un abitino nero. L’effetto borchia è ottenuto anche con il lurex oro che le disegna con ordine meticoloso sul davanti e su una manica di un abito nero.
Alla donna armatura si sussegue un’immagine femminile più morbida grazie alle lane fantasie dei tailleur “chanel”, pied-de-poule dalle proporzioni differenti, da micro a macro che convivono nello stesso capo e che costruiscono giacche, abiti, cappotti, gonne. A volte i pezzi più “duri” sono addolciti da rouches tagliate al vivo, drappeggi e pieghe. Le maglie dalle grosse trecce rigide e complesse, nonostante il materiale, riportano invece all’immagine della donna armatura.
Tanti i mescolamenti di materiali che, pur essendo valutabili come esercizi stilistici, hanno decisamente appesantito e complicato le costruzioni degli abiti : pizzo e texture a stuoia, maglia tricottata e catene, patchwork di tweed, le stampe varie di leopardo, le materie diverse argentate. Nel cappotto convivono tweed, lurex, pizzo, lana matelassé; nel montgomery, pelle, pizzo e tweed; il trench ha le maniche in jacquard di seta.
Gonne decisamente corte che spuntano dai cappotti “midi” e pantaloni che si allargano al fondo rimandano agli anni ’60/’70.
La paletta cromatica si muove tra il nero e il bianco negli stampati; il nero e il carne negli accostamenti, poi qualche tocco di blu nel collo di pelliccia; il bordeaux in una blusa e il bronzo in stampati animalier.
Un giudizio complessivo? Qualche buono spunto, ma costruzioni troppo pesanti e mescolamenti materici eccessivi.