Le rivoluzionarie dello stile
Alle “dieci donne che hanno rivoluzionato l’universo femminile” Paola Saltari ha dedicato il libro “Una questione di stile” (Edizioni White Star), in cui ci offre il ritratto originale – in parole ed immagini splendide – di quelle figure iconiche dell’eleganza che tutt’oggi impongono il loro fascino. Curato da Valerio Manferto De Fabianis e prefato dalla stilista Anna Molinari, il volume fa sfilare davanti ai nostri occhi i modelli muliebri della bellezza e dello stile senza tempo, per ribadirci che la classe non è acqua e che non basta essere avvenenti per essere autentiche signore.
Si prenda Jacqueline Kennedy Onassis, che amava spaziare da uno stilista all’altro (da Chanel a Oleg Cassini, da Givenchy a Gucci, da Valentino a Mila Schön), fidandosi sempre solo del suo gusto personale, con grazia e coraggio. Chi non ricorda, ad esempio, le celebri foto all’isola greca di Skorpios quando impavida lanciò la moda di camminare scalza?
Ad Audrey Hepburn resteranno per sempre legati, invece, due “classici” entrati nel guardaroba di tutte le donne: il tubino nero e la camicia bianca. Quest’ultima fu da lei “inventata” per caso dopo che si era tolta l’abito macchiato di caffè e aveva indossato una camicia dell’allora marito Mel Ferrer, abbinandola ad una gonna a ruota: in pochi giorni divenne il paradigma dello charme, imitata da tantissime ragazze. Ma Audrey Hepburn non può non evocare anche i pantaloni a sigaretta di “Sabrina” e l’agile trench di “Colazione da Tiffany”.
Ad un’altra Hepburn del cinema, stavolta Katharine, si deve forse la più grande rivoluzione copernicana nell’abbigliamento femminile dell’ultimo secolo: i pantaloni! Nella fattispecie quelli classici a vita alta, ampi, con la piega e il risvolto in fondo. In effetti, fu lei la prima donna ad indossarli a Hollywood nel lontano 1932 e, se allora le costarono qualche critica malevola, entrarono poi nel “mito”, tanto che ancora oggi si portano diffusamente (di preferenza con le scarpe basse) quasi soppiantando le sottane.
Su tutt’altro versante si trova la femme fatale Brigitte Bardot, che forse amava più spogliarsi che vestirsi, e che ha lasciato nella moda la sua impronta anti-conformista e ribelle con i bikini mozzafiato, le chiome bionde arruffate, i jeans e le semplici T-shirt, mostrati senza pudore persino nei luoghi più sofisticati.
Nulla a che vedere con la raffinatezza innata di Grace Kelly, “nobilmente” carismatica già prima di diventare Principessa di Monaco. I suoi foulard Hermès, i guanti di pelle, le borse “Kelly” (così battezzate in suo onore) restano tra gli accessori più rappresentativi della vera eleganza.
Di Coco Chanel l’oggetto-simbolo non può che essere – più ancora del tubino o del celeberrimo profumo N.5, più ancora del tailleur in tweed con la giacca bordata di passamaneria o dei bijoux con perle – la 2.55, ossia la borsa con catena dorata e cuoio matelassé. Lei stessa raccontava di averla creata perché stanca di portare le borse a mano e talvolta di perderle.
Icone di stile furono pure le inglesi Mary Quant, colei che “liberò” le donne lanciando la minigonna, e la modella Twiggy, volto degli anni Sessanta, nota per le sue forme da silfide, gli occhioni blu sottolineati da tre paia di ciglia finte, i biondi capelli lisci e corti da cherubino birichino. E sempre da Oltremanica ci viene l’emblema più recente di stile degno d’una leggenda: la Principessa Lady Diana. Fu lei, sempre attentissima alle mode, spesso anticipandole, a sfoggiare mise fino a quel momento inconsuete per una corte regale: si pensi a quello che venne definito “Elvis look” (disegnato da Catherine Walker), esibito durante un viaggio ufficiale in Oriente, o a certi abiti da sera sensuali creati ad hoc da Gianni Versace.
E, per finire, lei, la donna più donna di tutte: Marilyn Monroe. Bellissima, sexy, tanto intelligente quanto triste, era capace di rendere squisitamente femminile ogni abito, infondendovi il suo temperamento. Può essere presa a testimonial di tutte le figure protagoniste di questo libro in qualità di inconsapevole “rivoluzionaria dello stile”, avendo rinnovato il concetto di femminilità con il suo estro personale, il suo fascino universale, la sua vita privata consumata tra poche gioie e molti dolori, tra frivolezza mondana e profondità di spirito.