Le scarpe raccontano
Sottovalutare il trinomio scarpe, nuove tendenze e cultura sarebbe davvero un errore: la presenza dell’accessorio che più di ogni altro risveglia fantasie e desideri, nelle favole, nella letteratura e nell’immaginario collettivo, sia come archetipo che come oggetto glamour di analisi sociale, merita sicuramente una trattazione e che in proposito venga spesa qualche parola. Look-book dalle immagini accattivanti, romanzi dedicati, libri che contengono scatti e bozzetti utilizzati per celebrare una particolare griffe, confermano un trend ormai consolidato: la scarpa attira e fa parlare di sé, racconta aspetti della personalità di chi la indossa, incarna tradizioni secolari o miti che durano una sola stagione, forse transitori ma specchio fedele del cambiamento di usi e consumi, comunque dotati di una grande capacità attrattiva e narrativa.
Non esiste accessorio fashion a cui siano stati attribuiti altrettanti poteri. Le “ruby slippers” che consentivano a Dorothy di tornare a casa dal Regno di Oz ad esempio, hanno catturato la fantasia di milioni di ragazzine più o meno cresciute, divenendo una realtà glamour firmata Salvatore Ferragamo e indossata da Judy Garland nel celebre film del 1939. A settant’anni dalla creazione della pellicola il dipartimento Consumer Products della Warner Bros e Cristallized Swarovski Elements rilanciavano la sfida estetica, affidando a 19 designers fra cui Diane Von Furstenberg, Jimmy Choo, Oscar de la Renta, Moschino e Alberta Ferretti, la creazione di altrettante versioni della scarpetta rubino, protagonista nel film “Il mago di Oz”. Chi avrebbe detto a Charles Perrault o ai fratelli Grimm che la scarpina di cristallo perduta a mezzanotte da Cenerentola, strumento indispensabile per il coronamento della sua storia d’amore, sarebbe diventata di pvc grazie alla fantasia dello stilista Stuart Weitzman?
Se qualcosa cambia costantemente nell’universo immaginifico delle scarpe, qualcosa resta immutato; si pensi alla fiaba intitolata “Le scarpette rosse” e scritta da Hans Christian Andersen, quando l’acquisto compulsivo non esisteva e il collezionismo sicuramente non era cosa per tutti. Il racconto continua a lanciare nel tempo il suo anatema, un segnale d’allarme per tutte le fashion victim, modellando in cuoio scarlatto la metafora oscura della sofferenza che si nasconde dietro l’eccesso di vanità.
Volendo tracciare un percorso che racconti il potere evocativo della scarpa attraverso i linguaggi contemporanei della moda, fra vizi e virtù, non si può che cominciare con le campagne pubblicitarie e i lookbook di Christian Louboutin. Lo stilista è solito incastonare collezione dopo collezione, le sue calzature in scenari fantastici e surreali, artistico-fiabeschi, con ironiche cessioni ad un“kitsch ricercato” (mi si passi l’espressione). I suoi stiletti sono stati immortalati nell’ambito di nature morte di ispirazione settecentesca, esposti fra frutta e dolciumi come golose tentazioni di gola. Le creazioni emergono da scenari acquatici in cui sono adagiate pigramente, abbandonate nell’elemento fluido, oppure fluttuano in aria fra cilindri e carte da gioco come in un sogno ad occhi aperti “Attraverso lo specchio”. Set fotografici carichi di oro, ambientazioni da “Mille e una notte”, circondano scarpe lussuose avvolte con voluttà da decorazioni simili alle spire di un serpente.
Nel lookbook Fall 2011 intitolato “Les Promises de l’Hiver”, realizzato da Peter Lippmann per Louboutin, la comunicazione utilizza un efficace gioco ad incastro, per pubblicizzare le creazioni dello stilista per il prossimo autunno/inverno. Le scarpe, inserite in opere come “Maddalena e la Fiamma” di Georges de la Tour, nei dipinti di Jean-Marc Nattier, Marie-Guillemine Benoist, Jean-Baptiste Camille Corot, James Abbott McNeill Whistler, Francisco De Zurbaran e Francois Clouet conquistano in modo inequivocabile la scena. Gli sguardi interni ed esterni alla tela sono distolti da ogni altro soggetto per rivolgersi invariabilmente all’“intrusa”. La “superbia” dell’accessorio è evidente, eppure non ci si può astenere dal soffermarsi, dal rimanere a guardare.
Nel paradiso terrestre e contemporaneo della scarpa, non può sfuggire il rapporto fra ispirazione naturale e letteraria che si applica spesso agli spettacolari modelli di Manolo Blahnik. Se un’ammirazione pura per l’universo della natura era evidente nelle “cherry shoes” lanciate nel 1971 per una sfilata di Ossie Clark, riproposte dopo la morte dello stilista avvenuta nel 1996 e sopravvive nella “Botanic Collection” creata per la primavera/estate 2011, non viene meno il riferimento allo scenario naturale come contesto per le azioni di eroine e le vicende narrate da classici della letteratura, per descrivere e raccontare attraverso la scarpa, caratteri moderni e personalità complesse. Nel 2000 veniva lanciato il modello ispirato alla Sicilia e al film “Il Gattopardo” di Luchino Visconti, adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa; per la prossima stagione A/I, la passione di Manolo Blahnik per i romanzi di Tolstoj ha ispirato una linea di scarpe che si potrebbe immaginare calzata in uno scenografico paesaggio russo coperto di neve, da una contemporanea Anna Karenina.
A proposito di nuovi trend e mutamenti di prospettiva, la scarpa non smette di stupire: fra le novità lanciate per l’A/I 2011/2012 c’è “Debut’s Men Collection”, prima collezione per uomo firmata da Jimmy Choo che comprende trainers in cachemire o in pelle di coccodrillo, modelli improntati a un moderno British style fuso con il lusso dell’alto artigianato italiano, stivali da biker alla James Dean”¦ per la serie: chi ha osato dire che la vanità è donna?