L’eleganza è innata o si impara?
“Noblesse Oblige” titolavano un libro di bon ton che ha riscosso successo, due illustri rappresentanti della nobiltà europea. L’essere “qualcuno” -non è necessario appartenere al bel mondo-, obbliga a rispettare alcune regole di comportamento se si vuole essere riconosciuti e rispettati come “qualcuno”.
All’esterno l’eleganza ha degli indici molto chiari, “facilmente controllabili”.
Al primo posto la buona educazione, il bon ton. Ma anche il modo di parlare, di sorridere, di vestire, di porgersi agli altri.
La buona educazione ha regole, convenzioni che come tali evolvono e sono proprie di ogni tempo e ogni cultura. Molte di queste regole si possono imparare e pare che ricomincino ad avere grande successo i libri o i corsi di bon ton e di comportamento sociale.
Ma la buona educazione, quella in grado di creare ordine, armonia tra le cose e quindi bellezza, armonia tra le persone e quindi convivenza, capace di rendere la vita più serena, non si improvvisa.
La buona educazione è un contegno, esteriore quanto si vuole, che cresce a misura del crescere della sensibilità interiore e della maturità personale. Esige disciplina, pazienza, sensibilità e magnanimità verso gli altri. E’ una componente dell’armonia che fa bella la persona e per questo genera eleganza.
La buona educazione nasce dal rispetto per se stessi e per gli altri. Possedere un senso profondo della dignità propria e altrui si riflette nel proprio comportamento. Si è così capaci di percepire quando è necessario ad esempio rispettare una gerarchia, quando è necessario frenare la propria esuberanza perché si intuisce di poter dare fastidio. Sapere occupare il posto giusto ed essere all’altezza della situazione sociale in cui ci si trova rispettandone le regole, è scienza di non poco conto. Buona educazione significa agire con la consapevolezza di dove ci si trova, con chi ci si trova, con quale ruolo si è presenti in un contesto.
Cosa bisogna fare o dire seconda le situazioni in cui si opera è facile impararlo, anche da un “manuale” di bon ton, se la famiglia non è stata in grado di fornire le regoli basilari; ma solo a partire dalla propria sensibilità interiore.
Essere puntuale è di buona educazione, ma significa anche rispetto degli altri, del loro tempo e del loro lavoro.
E’ di buona educazione, ma è rispetto della dignità del proprio corpo e della dignità propria e altrui, presentarsi sempre in ordine con l’abito adatto ad ogni circostanza. L’abito per il lavoro non può rassomigliare al completo da spiaggia o da sport.
L’abito da cerimonia deve essere adatto al luogo in cui si svolge l’evento: anche qui gioca molto la sensibilità interiore; ma è possibile imparare a leggere le indicazioni riportate su un invito; o avere l’umiltà di chiedere un orientamento.
Un concetto troppo accentuato di spontaneità sta alla base di certi modi di parlare, vestire, di star seduti.
L’uso diffuso dei pantaloni, particolarmente i jeans, spiegano in parte il modo di star sedute delle ragazze: una posizione con le gambe divaricate che è stata colta e accentuata in molte fotografie di pubblicità di moda, che già al primo sguardo risultano volgari.
Sempre alla spontaneità mal intesa va assegnato il fatto che non sappiamo riconoscere i ruoli nelle relazioni sociali: forse possiamo tentare di ripristinare l’uso del lei come forma di rispetto non solo verso chi sta al di sopra di noi, per età, ruolo o dignità; ma per chi ci presta un servizio, il barman, la commessa o la collaboratrice familiare.Inoltre l’uso indiscriminato del tu si può prestare ad abusi e fraintendimenti sul tipo di relazione che vogliamo stabilire con il nostro interlocutore.