Lo shopping di lusso si sposta in aeroporto e poi vola a Milano
Dove sta andando il lusso? Fisicamente, intendo, sul territorio. Ebbene, dato per certo che gli affari si faranno sempre più tramite l’e-commerce – per inciso, è bene ricordare che l’ultimo “White Paper” del Gruppo Chalhoub, specializzato in ricerche sul retail nell’opulenta area del Golfo Persico, ha evidenziato una marcata evoluzione della società in un Medio Oriente sempre più caratterizzato da una popolazione giovane, ricca, esperta di tecnologia e promotrice di una vera e propria rivoluzione digitale/mobile, alla ricerca di esperienze e libertà – osserviamo che da un punto di vista logistico, per non dire antropologico, il lusso tende di fatto a spostarsi in luoghi che Marc Augé, celebre antropologo francese, definirebbe non-luoghi (ovvero spazi in cui miriadi di individui si affollano senza entrare in relazione, pressati dal bisogno di consumo e dalla fretta della vita moderna, anzi surmoderna, per dirla alla Augé), come gli aeroporti.
Johann Rupert, Presidente del colosso svizzero Richemont, aveva previsto questo trasferimento, che a molti sembrerà sorprendente e perfino scandaloso, richiamando il profetico libro “The Second Machine Age” (La seconda era delle macchine) di Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee, due super-esperti informatici del Massachusetts Institute of Technology, secondo cui, grazie alla crescita esponenziale nella forza di certe macchine, alla quantità di informazioni digitali che può generarsi e al numero di chip in “dialogo” costante tra loro, l’economia del futuro sarà fondata “su una nuova realtà di abbondanza il cui processo di comprensione è appena iniziato”. E a trarne vantaggio saranno soprattutto i consumatori, che avranno a disposizione di tutto e di più, a prezzi inferiori.
In quest’ottica, gli aeroporti sono destinati a diventare le nuove mecche del lusso per un crescente numero di viaggiatori spinti dall’utilizzo più frequente di intelligenze artificiali e robot che, se da un lato toglieranno lavoro ad alcuni, dall’altro permetteranno a nuovi soggetti di aumentare il loro tempo libero, quindi i viaggi e, conseguentemente, lo shopping. Pertanto, per l’affluent society di domani saranno i terminal a divenire l’ambiente più familiare, dove trascorreranno ore e ore della loro esistenza. E forse finiranno per viverci proprio… come nel famoso film di Steven Spielberg “The Terminal” con Tom Hanks.
Non a caso il lungimirante Rupert, che gestisce brand del lusso stellare come Cartier, Van Cleef & Arpels e Montblanc, ha investito con convinzione in Dufry, società di Basilea che conta circa 1700 negozi tra aeroporti, navi da crociera, porti e aree turistiche.
Rientra in questa strategia anche il recente ampliamento di Oriocenter, in terra bergamasca, che da Maggio 2017 è il più grande centro commerciale italiano ed è legato a filo doppio all’aeroporto bergamasco di Orio al Serio, sebbene non sorga propriamente al suo interno. Realizzato dal Gruppo Percassi (tramite la società immobiliare Arcus Real Estate), si estende su ben 105mila mq ed ospita 280 punti vendita, tra cui Hugo Boss, Emporio Armani, Coach, nonché un multisala UCI con 14 hall.
Anche Milano si sta “attrezzando” in questo senso, puntando sullo sviluppo ed il restyling degli scali di Malpensa e Linate. In particolare, per quanto riguarda il periodo 2016-2020, per Malpensa sono stati stanziati 266 milioni di euro allo scopo di migliorarne i servizi con interventi di ristrutturazione e riqualificazione, mentre a Linate sono stati destinati 313 milioni per l’upgrading funzionale e normativo del terminal passeggeri e del sistema di gestione dei bagagli, oltre che per la ristrutturazione della pista e del piazzale aeromobili.
La metropoli lombarda, in effetti, è ormai unanimemente riconosciuta in qualità di “capitale del lusso mondiale”, come dimostrano anche i massicci investimenti in strutture ricettive (a cominciare dagli hotel pluristellati) che si susseguono negli ultimi anni. Come certificato da Savills, provider globale di servizi immobiliari attivo sulla piazza londinese, Milano ha scalato la classifica delle mete più appetibili per investimenti alberghieri (solo Dublino la supera in Europa) grazie alla comprovata capacità di conservare e incrementare il valore del capitale investito. Inoltre, l’eccellente piazzamento in classifica del capoluogo lombardo si deve anche al numero di pernottamenti, alla crescita del Pil e al calo del tasso di disoccupazione.
Tim Stoyle, Head of Hotels Valuation di Savills, ha sottolineato che nella città della Madonnina gli investimenti sono trainati soprattutto da fondi di private equity e da proprietari di immobili interessati ad hotel con elevata potenzialità in termini sia di sviluppo sia di crescita dei margini. Questo dinamismo nel settore è sintomatico, evidentemente, del fatto che la domanda di accoglienza haut-de-gamme a Milano è ancora parzialmente scoperta sinora, per cui si favorisce un nuovo boom di strutture alberghiere differenziate, indotto compreso. A conferma dell’attrattività della metropoli ambrosiana nel mondo, la Camera di Commercio ha reso noto che nel 2016 è cresciuto dell’8% il valore dei prodotti “Made in Milan”, pari a 9 miliardi € tra food, fashion, design, cultura. I Paesi dove la città meneghina è più appealing sono Giappone per il food (+388%), Hong Kong e USA per il fashion (+15%), Cina e Russia per mobili e design (+50%), USA per la cultura (+30% l’editoria). Qui gli stranieri stanno investendo massicciamente con l’apertura di 52 filiali di imprese, che danno lavoro a 15mila addetti. Del resto, basta ricordare una ricerca di Pambianco Strategie di Impresa per Sea (2015) che attesta, dati alla mano, come Milano sia il luogo preferito per lo shopping internazionale: qui gli scontrini della spesa dei turisti si confermano in media più alti per importo rispetto a quelli di tutte le altre capitali. Quale miglior imprimatur?