Luci e ombre di bellezza. George de la Tour in mostra a Milano
Un artista “bipolare” tanto affascinante quanto misterioso, che spazia dal trionfo della luce diurna alle tenebre più atre della notte, dal crudo realismo della quotidianità alle tenere visioni oniriche a lume di candela. E’ il francese Georges de La Tour (1593-1652) il protagonista dell’eccezionale mostra in scena a Palazzo Reale a Milano sino al 7 giugno 2020 (“Georges de La Tour. L’Europa della luce”), organizzata da MondoMostre Skira con Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale, a cura di Francesca Cappelletti con Thomas Clement Salomon (Comitato scientifico: Pierre Rosenberg, già direttore del Louvre, Gail Feigenbaum, direttrice del Getty Research Institute, Annick Lemoine, direttore del Musée Cognacq-Jay, Andres Ubeda, vice direttore del Museo del Prado).
Pittore enigmatico, dicevamo, non solo per la cifra dei suoi dipinti ed i loro destinatari, ma anche per la vaga biografia, dato che non conosciamo di fatto quasi nulla della sua formazione e della sue vicende personali (incluso un ipotetico viaggio in Italia).
Questa di Palazzo Reale è la prima esposizione in Italia a lui interamente dedicata con oltre 30 opere, costruita sul confronto tra i suoi capolavori e quelli di altri sommi maestri dell’epoca: da Gerrit van Honthorst (meglio noto come Gherardo Delle Notti) a Paulus Bor, da Trophime Bigot a Hendrick ter Brugghen, da Frans Hals a Jacques Callot. L’obiettivo è quello di offrire nuovi stimoli alla riflessione sulla pittura dal naturale e sulle sperimentazioni luministiche, per affrontare i grandi quesiti che tuttora avvolgono l’opera di Georges de La Tour.
La rassegna (accompagnata da un pregevole catalogo Skira) si dipana tra immagini forti e poetiche allo stesso tempo, dominate da Maddalene penitenti e vecchi decrepiti, santi e mendicanti, scene di gioco e di rissa, notturni raffinati e paesaggi inondati di sole. La Tour ritrae angeli presi dal popolo, martiri senza aureola né attributi iconografici, pie vergini che somigliano a cortigiane, e predilige soggetti colti dalla strada come gli accattoni. I pochi quadri riconosciuti autografi sono perlopiù di formato piccolo, intimi, privi di sfondo paesaggistico, tenebrosi e, soprattutto nella presunta ultima fase artistica, quasi dei monocromi dalla struttura geometrica, semplice ma modernissima per quel tempo.
Il più autorevole e originale pittore francese del Seicento, considerato una sorta di meteora nella pittura barocca con ascendenze caravaggesche, Georges de La Tour si rivela in questa retrospettiva come un artista quanto mai sfaccettato, in grado di smarcarsi da Caravaggio e di elaborare linguaggi autonomi, capace di sondare il mondo dell’oscurità impastandola di luce e osservare con compassione l’umile gente del popolo (si vedano Il denaro versato, La rissa tra musici mendicanti, I giocatori di dadi, Uomo anziano e Donna anziana). La sua cultura visiva non è di ispirazione romana né i suoi dettagli formali sono derivati dal Merisi, ma nondimeno è medesimo lo sguardo sul soggetto preso dalla vita quotidiana, che si esprime nella reclusione della figura umana in un interno, con le ombre che forgiano e riproducono le sagome.
Apprezzato al suo tempo, ma poi caduto nell’oblio e riscoperto solo nella prima metà del Novecento dal tedesco Hermann Voss, oggi Georges de La Tour è al centro di una profonda indagine, perché la sua arte ammalia sempre più il pubblico e perché la sua figura resta avvolta nell’arcano: in parte per le scarse informazioni sulla sua formazione, sui suoi spostamenti e sulla datazione delle opere, in parte per quell’afflato contemporaneo che si sperimenta osservando i suoi lavori.
“Dai documenti emerge un personaggio arrogante e dal carattere difficile”, ha dichiarato la curatrice della mostra, “ma i suoi quadri sono commoventi, parlano all’anima; sono definiti da una dimensione intima, poetica. Spesso i protagonisti sono ciechi e quindi spetta al pubblico entrare nel dipinto. È un pittore della sintesi ma anche del dettaglio e si colloca sulla linea di ambiguità tra il sacro e il profano, tra la luce della candela e il buio delle tenebre, tra la pittura e la poesia”. In particolare, proprio l’elaborazione della scena notturna sembra mettere in crisi l’immagine di La Tour come pittore della realtà. Opere come Giobbe deriso dalla moglie e l’Educazione della vergine trascinano lo spettatore in una dimensione quasi metafisica, trascendente e sovrasensibile
Nato in Lorena da una famiglia di agiati fornai, divenuto nobile per matrimonio, ricco per talento, celebre per il favore di potenti protettori, La Tour venne nominato nel 1639 “pittore ordinario del Re” (Luigi XIII, che appese il suo San Sebastiano in camera da letto), stimato al punto da avere tra i clienti il sofisticato cardinale Richelieu (a cui vendette il San Gerolamo di Stoccolma).
Visitò mai l’Italia l’artista lorenese? E’ solo una supposizione, una vexata quaestio che da anni divide gli esperti. Fatto sta che nel nostro Paese non è presente nessuna sua opera. Anche per questo la prima antologica italiana del Maestro ospitata a Milano è un’occasione unica per ammirarne da vicino le suggestive modalità di espressione.