L’ultimo cigno
L’attrice Marisa Laurito raccontò una volta di essere stata invitata a cena da Marella Caracciolo e dal marito, l’avvocato Gianni Agnelli, nella loro raffinata dimora a Torino. Erano i tempi del grande successo degli show televisivi di Renzo Arbore di cui la esuberante Laurito era indiscussa protagonista. Quest’ultima si presentò a casa dell’uomo allora più potente d’Italia indossando uno dei suoi eccentrici abiti dai colori accesi che ne esaltava le forme mediterranee, ulteriormente vivacizzato da un cappello con tanto di frutta sopra. Donna Marella, che invece portava un semplice e garbato capo in cashmere beige, non fece una piega di fronte a cotanta appariscenza e conversò amabilmente con l’estrosa attrice per tutta la serata. Questo per dare l’idea di com’era squisitamente gentile e autenticamente aristocratica – fino ad apparire assolutamente democratica – la signora Agnelli, scomparsa a 92 anni il 23 febbraio scorso.
Marella Caracciolo di Castagneto, nata a Firenze il 4 maggio 1927 da una famiglia della nobiltà napoletana (padre diplomatico, madre americana), è stata The Last Swan, l’ultimo cigno, come l’aveva soprannominata l’amico scrittore Truman Capote per sottolinearne il fascino etereo e l’eleganza unica, dopo averla ammirata ad una sua festa a New York nel 1966 (il sontuoso Black and White Ball al Plaza Hotel), in cui lei si presentò con indosso uno splendido caftano ricamato di Mila Schön e una maschera sul volto da cui si irradiavano lievi piume.
Ritenuta una delle donne più chic del pianeta, era provvista di assoluto buon gusto, grazia di portamento, pacatezza e cortesia, così come era dotata di un fisico magnifico che conferiva ai capi indossati una linea perfetta. Per farsene un’idea, basta rivedere il ritratto fotografico che Richard Avedon le dedicò nel 1953, in cui essa vi appariva come una dea inondata di luce, con il suo collo lunghissimo “alla Modigliani”, in posa tre quarti.
Divenuta icona di stile del Novecento, ebbe uno rapporto speciale soprattutto con i grandi atelier di moda italiani e francesi. Per Valentino Garavani, Marella Agnelli poteva essere uguagliata solo da Jacqueline Kennedy per classe innata, come dimostrano tutt’oggi le foto delle due signore a spasso insieme per Amalfi con infradito ai piedi, pantaloni al polpaccio e una maglia a righe alla marinara. La medesima Marella dichiarò che per lei la moda era “una forma di espressione, ma anche uno scudo”, ovvero un modo per presentarsi al mondo piacevolmente “con un’immagine creata da un’altra persona”. In definitiva, la sua moda emanava dalla sua stessa personalità. Per questo forse Lady Agnelli scelse spesso un couturier come Cristobal Balenciaga, per i prodigi stilistici che sapeva compiere esaltando lo charme femminile senza mai derogare al bon ton, anzi giocando con la semplicità e l’intelligenza piuttosto che con la sensualità e l’ostentazione, al fine di creare perfezione estetica e indurre armonia interiore.
Nel mondo fashion lavorò anch’essa come assistente del fotografo Erwin Blumenfeld, poi come redattrice e fotografa per Vogue, nonché come designer realizzando sofisticati disegni per tessuti d’arredamento su richiesta della fabbrica svizzera Abraham Zumsteg e in seguito per l’azienda Ratti di Como, la francese Steiner, le americane Martex e Marshall Field’s (appassionata di arte e design, Donna Marella aveva frequentato `l’Académie des Beaux-Arts´ e `l’Académie Julian´ di Parigi), fino a conquistare in USA nel 1977 l’Oscar del disegno con il premio `Product Design Award of the Resources Council Inc.´. Figurò inoltre come modella su Vogue nel 1945 con un peplo bianco di Federico Forquet e successivamente nel 1948 con un abito principesco della sartoria Carosa. Fu musa e modella anche di noti artisti e fotografi oltre al già citato Richard Avedon: Henry Clarke, Clifford Coffin, Andy Warhol, Horst P. Horst. Per il suo allure ed il suo stile entrò di diritto nella Hall of Fame delle rivista Vanity Fair, insieme al marito Gianni Agnelli e al nipote Lapo Elkann.
Vogliamo ricordare Marella Agnelli, infine, come somma esperta di giardinaggio, tanto da pubblicare nel 1987 il best-seller `Giardini Italiani´ della Weidenfeld e Nicholson, nel 1995 `Il Giardino di Ninfa´, nel 1998 `Giardino Segreto´, nel 2007 `Ninfa Ieri e Oggi´, nel 2014 `Ho coltivato il mio giardino´ e nel 2015 `La Signora Gocà´. Lei stessa curò la progettazione di aree verdi nelle sue dimore: Villa Frescot e Villar Perosa nei pressi di Torino, e quella di Marrakech in Marocco, dove viveva in modo pressoché stabile dal 2005.
Mecenate delle arti e donna coltissima, Donna Marella è stata membro dell’International Council del MOMA di New York, del Tate International Council di Londra, del Board degli Amici dei Giardini Botanici Hanbury; Presidente honoris causa della Riserva Naturalistica Torrente Chisone di Villar Perosa e Presidente dell’Associazione Amici Torinesi Arte Contemporanea. Grande collezionista d’arte insieme al marito, acquistò dipinti di Canaletto, Bellotto, Canova, Manet, Renoir, Picasso, Matisse, Severini, Modigliani, oggi esposti per lo più nella Pinacoteca del Lingotto, che rappresenta una delle maggiori raccolte italiane di arte moderna.
Se la vita non le risparmiò cocenti dolori, pur tra le molte fortune che le dispensò, Donna Marella la attraversò sempre con dinamismo e coraggio, senso del bello e del buono, gentilezza ed equilibrio, ripetendo spesso una frase dello stimato paesaggista inglese Russel Page: «Occorre saper essere il servitore di qualcosa di più alto, o si diventa schiavi di tutto ciò che c’è di più in basso”.