Lusso: prospettive per il futuro
L’imponente crisi finanziaria abbattutasi negli ultimi anni sulle principali economie mondiali ha investito la quasi totalità dei settori produttivi, dalle cosiddette commodities ai più inarrivabili beni di lusso.
I settori di fascia alta hanno risentito fortemente di tale trend negativo, registrando cospicue perdite e preoccupanti diminuzioni nel livello delle vendite.
La Fondazione Altagamma, che riunisce le principali aziende italiane del lusso, in occasione del tradizionale appuntamento con l’Osservatorio Altagamma, ha presentato in data 18 Ottobre, presso il Museo della Scienza e della Tecnica di Milano, una serie di studi in merito alla situazione corrente e alle prospettive per il futuro del mercato mondiale del lusso.
Diversi gli analisti e le istituzioni coinvolte per la mappatura delle previsioni economiche e finanziarie riguardanti l’anno 2011, da SDA Bocconi a Bain&Co per finire al Global Refund.
Dopo un 2009 segnato da una decrescita generalizzata, soprattutto in riferimento alle aziende quotate in borsa, l’anno in corso si configura come un banco di prova e di risanamento, anelante ad importanti traguardi previsti per il 2011.
Le preoccupanti cifre associabili all’anno 2009, che ha registrato una decrescita dell’8% per il mercato dei beni di lusso personali, sono state tuttavia contenute attraverso un miglior controllo dei costi operativi ed una significativa riduzione del capitale circolante. Sorprendentemente il retail monomarca, spesso ritenuto poco efficiente per la massiccia quantità di costi fissi che irrigidiscono i bilanci, si è dimostrato il canale più resistente alla crisi, contrariamente ai Department stores, che hanno subito delle grosse perdite soprattutto su suolo americano.
I due canali distributivi soggetti ad un forte sviluppo, anche durante la crisi, sono stati lo shopping online e gli outlet, registrando rispettivamente crescite del 20% e 18%.
In generale le aziende di dimensioni più grandi hanno reagito meglio al tracollo finanziario, avendo una maggiore flessibilità e soprattutto la capacità di indirizzare le risorse verso altri mercati.
L’abbigliamento si conferma la vittima principale delle fluttuazioni dell’economia mondiale, diversamente dagli accessori in pelle che non palesano alcun segnale negativo, anche grazie alla ripresa degli acquisti nel mercato statunitense.
In ogni caso i segnali positivi che hanno accompagnato i diversi segmenti del lusso negli ultimi mesi fanno sperare in una ripresa definitiva dell’intero comparto per l’anno che verrà, ricco di previsioni confortanti, sia per la produzione che per il retail.
Per quanto riguarda le aree geografiche, il Vecchio Continente e gli Stati Uniti sono stati i più colpiti dai massicci trend negativi, subendo preoccupanti frizioni nelle vendite e nelle risorse durante il 2009. L’anno corrente, unitamente al 2011, si palesa però come un nuovo inizio, anche grazie alla rinnovata fiducia dei consumatori.
Inutile dire che il grande colosso cinese ha tenuto testa alla crisi che si abbatteva sul resto del mondo senza riportare alcuna perdita negli ultimi due anni, anzi inseguendo una crescita di livelli esponenziali.
La Cina si conferma il Paese dal più imponente potenziale di crescita, grazie ad una capillare diffusione della cultura di prodotto che, in aggiunta al notevole potere d’acquisto, fa di questa terra la meta prediletta degli investimenti europei e americani.
Altra terra promessa per le nostre aziende del lusso è indubbiamente il Medio Oriente, esemplarmente rappresentato dalle arcate dorate di Dubai. Al contrario del Celeste Intero, caratterizzato da una certa varietà di consumatori, il Middle East è esclusivamente, almeno per ora, un mercato destinato ai beni di lusso. I potenti consumatori arabi sono disposti a pagare cifre inimmaginabili per un’etichetta Made in Italy o Made in France e negli ultimi tempi si nota la presenza di una mutevole cultura di prodotto. Se fino a qualche anno fa la griffe era mezzo di ostentazione e conferma di un preciso status economico e sociale, attualmente il consumo di lusso è accompagnato da una diversa consapevolezza e dal piacere personale dello shopping. Ciò è stato possibile in particolar modo grazie alla massiccia diffusione del retail, equiparato sostanzialmente agli standard occidentali. Nello sviluppo di tale tendenza, i consumatori arabi arriveranno tra non molto a concepire la moda e il lusso come uno stile di vita, riuscendo ad operare le dovute differenziazioni fra i vari brand e le rispettive tradizioni. D’altronde è il medesimo percorso che il consumatore occidentale, in particolare quello europeo, ha affrontato nel corso delle varie epoche. Noi stessi siamo passati dal concetto di consumo vistoso, egregiamente intuito da Veblen, allo shopping come piacere personale, fino alla moda e al lusso percepiti come way of life, per dirla all’anglosassone.
L’ Oriente appare quindi la principale sfida del futuro, il terreno su cui operare investimenti sicuri ed esportare quella tradizione e quella cultura del bello che ci ha reso famosi nel mondo.
Parallelamente, si pone la necessità di studiare a fondo le esigenze contrastanti della cosiddetta nuova Generazione Z, perennemente sospesa fra il mondo reale e quello virtuale.
Ultima sfida, già in parte avviata negli ultimi anni, è la tanto osannata shopping experience, concetto tanto astratto quanto fuorviante, che dovrebbe trovare la propria realizzazione in un atto d’acquisto guidato da motivazioni più emotive e sensoriali che razionali ed utilitarie, allo scopo di garantire all’azienda la fedeltà del cliente.
Mi domando cosa si intenda per lusso.
Oggi seminari e tavole rotonde si ammantano di questa categorizzazione, ma in realtà parlano solo di prodotti di alta gamma o fascia.
Personalmente on credo che il settore dei beni di lusso possa essere in forte crisi, neanche in crisi.
La crisi generale c’è e si sente ed è un qualcosa di concreto per chi non si può più permettere i jeans brandizzati a 250 euro con spensieratezza e dovrà pensare ad altre soluzioni di acquisto, e qualcosa di psicologico per chi invece potrebbe continuare ad acquistarli, ma non è più molto “politically correct” perchè c’è la crisi. Understatement è il trend dei consumatori del lusso. Questo aspetto tutto psicologico, è il problema reale.
Mi spiego meglio, parlando di recente con l’amministratore delegato di un noto “luxury brand” di orologi, lo stesso mi diceva che la domanda è calata ma il fatturato non è calato per nulla.
Come è possibile?
Semplicemente perchè il brand essendo veramente di “lusso” ha sempre prodotto serie limitate, proponendo una politica di prezzo per pochi. una domanda di 100.000 pezzi veniva soddisfatta con una produzione di 50.000. Nei momenti di boom una domanda di 140.000 esemplari, veniva soddisfatta sempre con 50.000 pezzi. Ora che la domanda è calata magari a 60.000 pezzi la produzione rimane invariata.
Prendiamo il caso della nuova Ferrari spider. Completamente venduta tutta la produzione, proprio perchè in serie limitata.. E allora dove è la crisi del “lusso”?
Non dovrebbero certi “esperti da tavola rotonda” confondere lusso e retail… per quel poco che ne so di marketing sono due mondi agli opposti.