Ma dove vai se il kimono non ce l’hai?
Il 1854 fu per il Giappone un anno memorabile: iniziarono le relazioni diplomatiche con i paesi esteri, che portarono, tra le altre cose, l’esportazione della seta verso l’ Europa e gli Stati Uniti a picchi altissimi. L’influenza occidentale regalò grandi novità alle tradizioni del Paese del Sol Levante i cui effetti più pieni si possono valutare dopo la seconda guerra mondiale. Man mano elementi occidentali come le caffetterie, i ristoranti, i cinema, ma anche il ballo e la moda entrarono a far parte della quotidianità del popolo giapponese. In questo clima di rinnovamento e modernizzazione, l’istruzione scolastica apre le porte alle donne, e si registra anche in oriente, anche se un po’ in ritardo rispetto all’occidente, la nascita di una nuova figura femminile: la donna lavoratrice, pratica, dinamica, consapevole, e moderna.
Il nostro interesse sulla modernizzazione del Giappone si rivolge all’abbigliamento e a un capo in particolare che può rappresentare come vedremo un ponte tra l’antico e il moderno giappone: il Kimono. La concomitanza tra il mutamento della quotidianità e l’esubero della produzione di seta rispetto a quella effettivamente esportata, vuoi perché la domanda era inferiore all’offerta, vuoi perché, i bozzoli uscivano malformati, condusse all’ideazione, attorno agli anni venti del XX secolo, del Kimono meisen, un Kimono più accessibile rispetto agli esemplari classici di fattura sontuosa; insomma un’ abito, potremmo dire da occidentali, in versione pret-à-porter rintracciabile anche nei grandi magazzini dell’epoca.
Questo indumento è stato protagonista, ultimamente, di uno dei vari eventi celebrativi del 150’ anniversario delle relazioni tra Giappone e Italia. Presso l’Istituto Giapponese di Cultura in Roma, dal 22 aprile al 4 giugno scorso, si è tenuta la mostra “VIVID MEISEN: la sfavillante moda del kimono moderno”.
Una ricca esposizione di meisen, risalenti al periodo tra gli anni 20 e gli anni 60 del secolo scorso, disposti in sequenza ordinata per fasce di tema; un’esposizione invitante di un oggetto intriso di fascino e mistero.
Se ne potevano ammirare con soggetti floreali: dalle camelie alle peonie, dalle rose multicolore ai rossi tulipani ai gladioli ai lillà; ma anche con stampe di forme geometriche: spirali, frecce, origami, oppure con rappresentazioni faunistiche: libellule lilla, volatili con piume multicolori su fondo nero.
Una piccola zona della sala era dedicata alla proiezione di un video sulle tecniche di lavorazione e colorazione del tessuto. Apprendiamo così che ci sono vari sistemi di tinteggiatura: la “ikat” per esempio, tramandata in epoca Edo dai paesi del sud-est asiatico, prevede di tingere il tessuto in fasci di fili tenuti parzialmente legati per lasciarne una parte bianca. Ha un che di ipnotico osservare, a continuazione, il certosino lavoro della filatura: quel placido e metodico perfetto incastro di trama e ordito.
La seta è tra i tessuti naturali, in assoluto, il più pregiato, e nonostante il suo aspetto delicato e leggero, è una stoffa molto resistente, la migliore per la confezione dei kimono. Con l’avvento della modernità sono stati realizzati abiti meisen anche in stoffe meno raffinate; l’effetto è pur sempre elegante, ma di sicuro non così prezioso.
Il Kimono, letteralmente “cosa da indossare”, possiede un’allure misteriosa, austera e conviviale al contempo; induce il corpo di chi lo indossa a porgersi in modo solenne e composto, come un sussurro lieve ed armonico. Nasce per far si che della persona emergano grazia e spiritualità, a differenza dell’abito occidentale, teso per lo più ad enfatizzare le doti fisiche di chi lo indossa.
A seconda delle occasioni e di chi lo porta assume sembianze e nomi differenti. Il forisede, abito dai colori vivaci e dalle fantasie originali, è indossato dalle giovani donne nubili nelle occasioni formali: la cerimonia del tè, il compimento della maggiore età, le nozze.; le Maiko, le allieve geishe, ne fanno un uso quotidiano. Ha maniche lunghe fino ai piedi, e un tempo si diceva che una giovane donna capace di muovere con grazia le proprie braccia, avrebbe catturato nelle maniche del suo forisede l’amore della sua vita. Il tomosede ha maniche accorciate, ed è utilizzato dalle donne sposate che, nelle occasioni formali, indossano invece il kurokomoisede veste nera adornata da disegni colorati in basso a sinistra. Più la donna è anziana più il disegno si dirada e si sposta verso l’orlo dell’abito.
Per la confezione si usano sole sei strisce di tessuto, due pannelli servono a coprire il corpo, altri due per cucire le maniche e due fasce di tessuto più strette a costruire il colletto. Quello maschile è a taglie, quello femminile ha un’unica taglia e viene modellato sul corpo al momento di indossarlo. Un kimono perfettamente cucito ha le maniche che arrivano esattamente alla fine dei polsi quando le braccia sono abbassate. Si indossa con una cintura chiamata obi che può essere di lunghezza variabile e viene avvolta più volte attorno alla vita e chiusa con nodi di vario tipo.
A corredo della mise si utilizzano i tabi, calzini che hanno la particolarità di separare l’alluce dal resto delle dita e i sandali zori o geta con struttura in legno.
Ma dove trovare in Giappone la maggior produzione di Kimono meisen?
La città di Ashikaga, l’antica capitale del Kanto del Nord, nella prefettura di Tochigi è nota per la realizzazione di raffinati meisen a buon mercato. Altro posto è Chichibu, qui in epoca Edo si teneva il grande mercato della seta. Il Chichibu meisen è stato dichiarato dal governo giapponese bene artigianale tradizionale dal 2013.