Ma dove vai se la cravatta non ce l’hai?
E’ il vocabolo croato hrvat a dare il nome prima alla cravate francese e poi alla nostra cravatta, dal momento che i cavalieri croati al soldo del re di Francia Luigi XIV indossavano al collo una sciarpa chiamata appunto come sopra (hrvat significa proprio “croato”).
Simbolo dell’eleganza, del decoro e della dignità maschile (tanto che i senatori della Repubblica italiana non possono varcare la soglia di Palazzo Madama senza questo accessorio), la cravatta si propone in vari tipi: per citare i più comuni, a tinta unita, fantasia, regimental, a pois.
I tessuti più utilizzati sono la seta, il cachemire, il lino, mentre i modi per annodarla sono ben 85, dal nodo semplice in 4 passaggi al nodo Fink, il massimo della complessità.
Un embrione di cravatta come oggi la conosciamo fu ideato negli USA nel ‘700 (si trattava in pratica di un fazzoletto annodato a fiocco), portato in voga dal boxeur James Belcher e poi perfezionato dal mitico dandy Lord Brummel ai primi dell’800, finché a fine secolo in quel di Oxford i membri dell’Exeter College utilizzarono i nastri dei propri cappelli per annodarli al collo, diffondendo la moda tra i vari club inglesi. Fu solo nel 1924 che la cravatta divenne l’accessorio attuale, realizzata con il procedimento del taglio del tessuto ad angolo di 45° rispetto al filo della trama, usando tre strisce di stoffa da cucire di seguito. Il brevetto si deve al sarto newyorkese Jesse Langsdorf.
I fazzoletti da collo, comunque, si usavano in Inghilterra già a metà ‘600 e la cravatta a punta era mero appannaggio delle classi aristocratiche. Ma possiamo rintracciare dei precedenti addirittura nel II secolo d.C., come dimostrano i legionari romani scolpiti in bassorilievo sulla Colonna Traiana, che al collo sfoggiano un sudarium, ovvero una sorta di foulard antesignano della moderna cravatta.
Sociale ed erotico insieme (Freud docet), il linguaggio della cravatta è stato recentemente messo in discussione da alcuni stilisti, con la pretesa di emancipare il genere maschile dal nodo gordiano del collarino. La miglior risposta la darebbe forse quell’algido elegantone di David Niven: “Ditemi che ho sbagliato battuta, ma non che ho sbagliato cravatta”.
Infine, una curiosità: la cravate è anche un sontuoso indumento del guardaroba femminile della seconda metà dell’800, tessuta in seta, voile e broccato d’oro. La differenza con quella maschile consisteva nel fatto che quest’ultima stringeva il collo e veniva annodata, mentre quella veniva fissata con piccoli punti alla camicetta o all’abito.
Tale vezzo si sviluppò sull’onda di una moda sempre più ridondante e ricca di decorazioni. In base ad essa, le cravate femminili dovevano recare ornamenti perfettamente identici alle estremità, perché dovevano essere indossate in modo simmetrico. Poi il costume si è evoluto e ci ritroviamo con l’uomo cravattaro e la donna sans cravate. Ma la moda, prima o poi, ribalterà ancora una volta le carte. E’ nella sua natura, come direbbe lo scorpione del noto apologo.