Manifesto del buon gusto
Ci sono anche i deliziosi manifesti realizzati da Marcello Dudovich nel primo decennio del Novecento per i Magazzini Mele di Napoli (icona postunitaria che nulla aveva da invidiare agli empori di Harrods a Londra o alle Galeries Lafayette a Parigi) in “Pittori di carta, IV volume” del grande illustratore-artista Santo Alligo (Little Nemo editore, Torino). In questa sua ultima opera – perfetta per una strenna natalizia di classe – affiorano centinaia di figure che ben rappresentano il lavoro di autori internazionali come Walter Crane, Carl Larsson, William Nicholson, Aleardo Terzi, Sergio Tofano, Basilio Cascella, Jessie Wilcox Smith, Kathleen Hale, William Wallace Denslow.
E Dudovich appunto, che dal 1906 al 1914, disegnò per Mele una ventina di mirabili affiches Liberty (scevre di eccessi estetizzanti), prendendo a soggetto ambienti e personaggi in funzione del coinvolgimento del potenziale acquirente. In effetti una tale pubblicità – avanguardia del marketing moderno – mirava, attraverso l’apertura di interni alto-borghesi alla classe media, ad innescare nel consumatore (subliminalmente, diremmo oggi) il desiderio di fruire dei lussi di un mondo inaccessibile.
Erano gli anni d’oro della Belle Epoque, in una Napoli che adesso ci sembra così irrimediabilmente lontana, come appare nelle immagini stilizzate delle reclame rutilanti ed ammalianti dei “Magazzini Italiani Mele”. Ad affascinarci sono soprattutto, ça va sans dire, i manifesti legati all’alta moda, contrassegnati tutti dallo slogan a piè di pagina “Il massimo, a buon mercato”, ideale per attirare i clienti meno facoltosi (del resto, fu proprio l’eccellente rapporto qualità/prezzo una delle chiavi del successo dei “Magazzini” fondati nel 1889 dai fratelli Emiddio e Alfonso Mele nel Palazzo della Borghesia in via San Carlo).
Questi manifesti, per lo più realizzati nelle Officine Ricordi di Milano e oggi in buona parte in dotazione al Museo di Capodimonte per liberalità dei discendenti Mele, sono vere e proprie opere d’arte che ebbero i loro autori, oltre che in Dudovich, in grafici del calibro di Leopoldo Metlicovitz e Achille Beltrame (l’intera collezione cartellonistica Mele ammonta a circa 180 esemplari, tra le più ricche a livello mondiale). Cosa raffigurano esattamente?
Un’evanescente signora di grande eleganza, in frusciante abito di seta abbinato a un cappello vezzoso, lunghi guanti, ombrellino di pizzo, monta in carrozza, mentre lo sportello le è aperto da un gentiluomo in tuba; amiche avvolte in opulenti colli di pelliccia, con le mani protette da manicotti da zarina, conversano tra di loro amabilmente o, al braccio di impeccabili signori dal bastone col pomo d’avorio, si dirigono verso il foyer di un teatro o un albergo di gran lusso, di fronte all’incantevole lungomare napoletano, per il gran ballo della stagione. E’ l’alta società allegra e spensierata tra l’Ottocento e il primo Novecento.
Cosa rappresentava in quel periodo la maison partenopea per il costume italiano è presto detto. Considerata la dimostrazione che poteva esistere una via nazionale all’eleganza, la ditta Mele – propagandando le novità della moda, gli ultimi arrivi di stagione, gli abiti da signora, da uomo, i vestitini per bambini, gli accessori, le stoffe e le confezioni – offriva non solo grande varietà ed assortimento à bon marché, ma garantiva soprattutto buon gusto. La sua storia, iniziata nel 1889 con Emiddio e Alfonso, si concluse definitivamente nel 1930 quando Davide, dopo la deleteria crisi del ‘29, decise di cessare l’attività. Alcune cifre possono comunque dare un’idea dell’importanza raggiunta dai Magazzini Italiani: nel 1892 l’impresa aveva 300 dipendenti tra impiegati, operai ed esterni, l’anno dopo ne contava già 500; nel 1893 venne inaugurato il nuovo settore destinato alla tappezzeria e all’arredo d’interni, mentre la superficie occupata si espandeva a 2000 mq; nel 1895 in Galleria Umberto I venne aperto l’Ufficio postale e telegrafico “Mele” al servizio delle vendite per corrispondenza.
Un’attenzione particolare venne sempre prestata dai Mele agli aspetti della comunicazione, a cui era riservato un piano ad hoc che prevedeva cospicui investimenti in campo editoriale, annunci sulle principali testate, cartoline, calendari, cataloghi, manifesti. I Mele poi non mancavano di sottolineare la loro presenza in occasione di importanti manifestazioni pubbliche, finanziando – veri antesignani delle sponsorizzazioni – l’allestimento di sontuosi apparati scenografici. Nel progetto pubblicitario rientravano anche trovate minori alquanto accattivanti ed originali: ad esempio gli uscieri all’ingresso dei Magazzini nei panni di esotici mori (noti al tempo come “o turco napulitano”, sulla scia della commedia di Edoardo Scarpetta); gruppi di nobili spiantati invitati nell’atelier Mele per incuriosire ed al contempo conferire alla merce in vendita un’implicita garanzia di raffinatezza e qualità. Naturalmente all’interno di questo sistema di comunicazione così articolato, il manifesto commerciale costituiva il medium più prestigioso a cui la ditta volle associare il proprio nome (sia perché ne rappresentava una pubblicità continua sia perché era uno strumento affisso in molti luoghi della città).
Emiddio e Alfonso Mele, facoltosi proprietari terrieri, assidui viaggiatori nel Vecchio Continente, avevano compreso che Parigi era il cuore pulsante della modernità e, da imprenditori brillanti e avveduti quali erano, ebbero la felice intuizione di proporre nella loro Napoli la formula della “grande distribuzione”, creando un modello di glamour unico in Europa per la diversificazione dei prodotti, dall’alta moda (i maggiori stilisti del tempo disegnavano per la casa napoletana) ad ogni altro genere merceologico (il catalogo trimestrale delle vendite per corrispondenza includeva più di 1000 articoli).
Tornando a Marcello Dudovich, va ricordato che egli lavorò anche per un’altra prestigiosa catena di distribuzione di abbigliamento tutt’ora esistente: la Rinascente, per cui realizzò 75 splendide affiches tra il 1921 ed il 1955 (in collaborazione con Walter Resentera, che divenne poi suo genero), confermandosi come uno dei massimi esponenti della grafica italiana. Non a caso tutte le più grandi industrie italiane fecero ricorso al suo ingegno ed alla destrezza della sua mano, tramandando fino ai giorni nostri i suoi lavori, ora conservati come somme opere d’arte in civiche raccolte di istituzioni museali.