Marella Ferrera: per non dimenticare”¦.
E’ la gente della sua Sicilia che ispira ancora una volta la collezione di Marella Ferrera, meglio ancora la memoria del “dolore” degli emigranti che approdavano dopo un lungo e periglioso viaggio a Ellis Island, l’ Isola delle Lacrime, stazione di smistamento per gli immigranti, la prima tappa per oltre quindici milioni di immigrati che partivano dalle loro terre di origine sperando di stabilirsi negli Stati Uniti.
Marella Ferrera pensa alle sue donne di Sicilia che hanno navigato verso il Nuovo Mondo, spose per procura di un destino sconosciuto. Drammatiche e sensuali, come le rappresenta la stilista, si portavano dietro chiuse in logore valigie i bei pizzi e gli scialli della terra di origine; nella memoria i ricordi; nelle abitudini il nero del lutto e i colori accessi dei fiori della terra di origine.
La collezione è carica di emozioni a cui la stilista ha saputo dare forma in ogni abito. “Ho ricamato i miei ricordi, li ho vissuti pezzo su pezzo, li ho intagliati come fossero una tela, li ho scuciti per ricomporli ancora… ed ora, indosso il mio abito da sposa”‘ ha scritto; e attraverso una introduzione di frasi in dialetto recitate in apertura ha portato lo “spettatore” a comprendere meglio il suo lavoro e a predisporsi allo scorrere delle creazioni.
Sono varie le suggestioni che si rincorrono sulla passerella.
Il filo conduttore è il ricordo, concretizzato in una foto racchiusa nel ciondolo di una povera spilla da balia o nelle innumerevoli tessere che percorrono verticalmente l’abito o decorano la gonna. Le foto ricordo si riconoscono, sfumate e moltiplicate, nella stampa del tessuto in bianco e nero: memorie da portare addosso per non dimenticare gli affetti familiari e le proprie origini.
Il ricordo è anche nella materia con cui sono fatti gli abiti. Ricordo di una povertà non ancora abbandonata per l’abito in juta su cui si leggono i numeri che indicavano il contenuto del sacco. Una materia che permette solo una forma essenziale all’abito, ma che ammette un prezioso decoro nella rosa dipinta sul corpino.
Materia di puro ricordo in modo particolare per gli abiti da sposa. Quello lavorato totalmente all’uncinetto con un fiore colorato che sembrerebbe ricamato a punto croce, ma che ha assorbito la novità del nuovo mondo: la tipica scollatura che chiamiamo all’americana. L’altro composto da tanti ritagli di stoffe, quelle che si è potuto recuperare dal fondo di un baule. Ogni balza è diversa: c’è il sangallo, ma c’è il pizzo di cotone, il macramè, e il leggerissimo valencienne, accanto a frange che sembrano tagliate dagli asciugamani di lino dei corredi più antichi, per costruire un abito sofisticato completato da un moderno velo. I ricami che ornano gli abiti sembrano ribadire il concetto della memoria da conservare, in questo caso la memoria della tradizione delle abili ricamatrici siciliane.
Ma c’è anche il ricordo della consuetudine del capo coperto, quasi un retaggio arabo; dell’uso del nero forse lasciato dagli spagnoli; ma in alcune stampe sembrerebbe riconoscersi un gusto barocco.
E’ c’è il ricordo dell’animo femminile siciliano che la stilista ha rappresentato in piccoli dettagli; una leggera sensualità che ha espresso nel dettaglio di sollevare leggermente la gonna e lasciare intravvedere la sottoveste; l’uso di tessuti leggeri sovrapposti che evocano trasparenze; una leggera drammaticità espressa negli occhi delle modelle pesantemente segnati dal nero.