Marina Spadafora: ambasciatrice della moda etica
Stilista assennata, docente al Politecnico di Milano, direttrice creativa di Auteurs du Monde (linea etica di Altromercato), vincitrice 2015 del premio ONU “Women Together Award” a merito dell’impegno posto nella divulgazione di valori etici per una nuova idea di moda. Gioiosa, garbata, attenta e intrisa di spiritualità fino al midollo, la signora Marina Spadafora, sul far di un tranquillo e tardo pomeriggio invernale, ci racconta un po’ più di sé.
Ad un certo punto della sua vita professionale c’è stata una svolta, un’inversione di rotta, un passaggio da stilista tradizionale a stilista propagatrice di una moda intelligente a servizio e protezione dell’umanità. Come e perché è avvenuto il cambiamento?
“L’inversione di rotta è stata il risultato di una necessità spirituale molto profonda, il modo migliore che ho trovato per assicurare questo risultato è stato quello di dirottare la mia professionalità di stilista in qualcosa che fosse utile all’umanità, che avesse un senso più profondo, qualcosa che migliorasse le condizioni di lavoro e di vita delle persone. Qualcosa, che restituisse dignità al lavoro umano.
Da lì la scelta di investire le mie energie in un nuovo modo di approccio alla moda, una scelta etica”.
Nel corso di questa inversione di carriera, ha lavorato a vari progetti in paesi con economie emergenti . C’è una popolazione che l’ha colpita particolarmente per il sistema organizzativo del proprio lavoro? se si, quale?
“Sicuramente i nepalesi, persone meravigliose! le loro comunità sono un esempio splendido di economia equa e sostenibile. La maggior parte degli imprenditori sociali che dirigono queste realtà prima di immergersi nel mondo dell’imprenditoria, svolgevano attività lavorative più “rassicuranti”; c’era, per esempio, chi lavorava in banca, chi lavorava in amministrazione, chi insegnava; ad un certo punto della loro vita hanno deciso di direzionare le proprie competenze nella creazione di piccole aziende che fossero in grado di garantire agli artigiani lavoratori, una serie di tutele prima a loro sconosciute: il diritto ad una paga equa; il diritto all’assistenza sanitaria; il diritto ad un ambiente di lavoro pulito e decoroso; il diritto all’istruzione per i figli.
Queste piccole aziende riversano parte dei loro profitti nella loro stessa comunità, per renderla migliore. A Katmandu, per esempio, grazie a questi fondi è stata creata una scuola gratuita per bambini”.
“C’è poi una signora speciale che desidero menzionare, una docente universitaria di Katmandu, che ha impostato (sul modello di sistema di finanziamento ideato dal professor Muhammad Yunus) un servizio di microcredito per gli artigiani che vogliano mettersi in proprio. Si tratta di un sistema di piccoli prestiti, che consentono l’acquisto degli strumenti necessari ad avviare un’ attività, una macchina da cucire e le stoffe necessarie alle confezioni, per esempio”.
C’e un personaggio di questi popoli che le è caro più di altri?
“Ce ne sono due: a Katmandu, il-grande capo- una persona ospitale, accogliente e magnanima. Con lui trascorro parecchio del mio tempo quando sono lì; momenti di lavoro e momenti di grande convivialità, si mangia spesso assieme, e che felicità!
C’è poi un prete salesiano cui sono molto affezionata, lui vive in Equador: padre Polo, un veneto che capitò a Salinas quarant’anni fa e non se ne andò più. Si preoccupò di istruire la popolazione, di insegnarle a rendersi autosufficiente, la istruì, per esempio, su come fare il formaggio.
Oggi Salinas è l’esempio di economia etica con maggior successo al mondo. Ci sono caseifici e maglifici e poi vengono prodotte buonissime tisane. Se una giovane coppia si sposa, le viene dato un alloggio gratuito per incentivarla a rimanere sul posto, invece che a trasferirsi nella capitale. Ogni lunedì mattina si fa una riunione, ma non ci si incontra mai nello stesso luogo, questo per insegnare alle genti a non ancorarsi a cose e posti fissi, bensì a rendersi flessibili e distaccati, un grande esempio di saggezza.
Oggi padre Polo ha settant’ anni ed è sempre molto attivo. Ha dedicato tutta la sua vita, (e che vita magistralmente impiegata!) a servire queste persone.
Assieme alla direttrice di Vogue Italia – Franca Sozzani – è attualmente impegnata nel progetto “F4D-Fashion for development” un progetto volto a supportare giovani imprenditori che intendono investire nel mercato africano e giovani stilisti africani, che vogliano proporre le loro idee nei paesi occidentali. Vuole parlarcene?
“Questo progetto ha come focus l’Africa. Per la settimana della moda a palazzo Morando, a Milano, Vogue talent ospita nuovi giovani talenti, per dar loro modo di farsi conoscere.
Da parte mia, ho disegnato e prodotto in Etiopia su incarico dell’azienda Pinko una serie di borse. Ho tratto ispirazione dai disegni che ricoprono i corpi delle popolazioni della valle del fiume Omo, l’idea ha avuto un successo strepitoso. Sono state prodotte ben 45.000 borse da una piccola azienda di Adis Abeba. Un grande esempio di globalizzazione”.
La sua giornata tipo?
“Sveglia presto, preghiera prima di ogni altra cosa, pratico il buddismo giapponese, quindi recito il mantra: “Nam Myoho Renge kyo” poi faccio colazione e dopo ancora mi reco al parco con il mio cane. Caffè al bar del parco assieme a mio marito, poi ufficio o scuola insegno al Politecnico di Milano; per pranzo normalmente mangio qualcosa fuori, nel pomeriggio il lavoro continua e alla sera torno a casa.Conduco una vita piuttosto semplice”.
Ha un marito, il regista Jiordan Stone, tre figli di 17, 18 e 20 anni: Vincent, Stella, e Veronica. Quali sono le priorità della sua vita?
“In ordine direi: famiglia marito figli e tutto ciò che ci riguarda, lavoro, divulgazione delle mie idee, del mio concetto di spiritualità, occupare del buon tempo in compagnia della natura. Trascorriamo i nostri week end sul lago Maggiore, bbiamo lì una casa. Mio marito corre io cammino, adoro passeggiare nel bosco, mi riconnette con me stessa.
Poi gli amici, mi piace averne tanti, sono molto “social” mi piace condividere il mio tempo con loro, invitarli, dare feste”.
Per ragioni di vita vissuta ha avuto modo di conoscere molto bene Audrey Hepburn, cosa le fa piacere ricordare di questa donna?
“Io e Audrey siamo state molto vicine, avevamo molte similitudini, è stata per me una grande ispiratrice, era una donna di grande delicatezza d’animo, gentile e compassionevole. Di ragguardevole dignità ed eleganza interiore. E’ stata l’ambasciatrice Unicef che ha raccolto più fondi di tutti gli altri, una persona di grande umanità”.
Ha un personaggio storico preferito?
“Martin Luther King per l’impegno contro la non violenza. Per il suo prodigarsi nelle strade contro ogni sorta di pregiudizio etnico, è un uomo sul quale negli anni di gioventù mi sono documentata molto, mi affascinava ”.
Cosa auspica per il futuro e cosa augura all’umanità?
“Di ritrovare la compassione. Di riconoscere nell’altro noi stess. Di avere compassione per il nostro pianeta”.
Finiamo col parlare del perché la crisi di ora è cosi faticosa da risalire, mentre se si guarda solo un po’ più indietro, a quella del 29’ per esempio, o del dopoguerra, certo più gravi dell’attuale, epoche in cui terrore fame ed orrore la facevano da padrone, si resta affascinati da tanta risoluta determinazione alla vittoria; ci si rimboccava le maniche, si procedeva con dignità, con passo audace, senza timore di sporcarsi le mani e di adeguarsi a cedere a lavori anche umili, quando necessario. Alle radici della nostra attuale crisi, forse, un crollo di valori, un rimescolamento malsano e malato delle priorità, una rarefazione delle virtù.
Mi racconta che ai tempi della febbre gialla suo nonno rimase orfano a soli 16 anni e da solo si trasferì nel nord Italia, non aveva con sé nulla, sempre da solo, strutturò un’ azienda ed edificò il suo futuro. Il fratello di suo nonno, stessa età, prese la nave, si trasferì in America, e affondò lì solide radici.
Con l’ambizioso auspicio di lasciare un giorno, questo mondo appena un pò migliore di come lo si è trovato, ci congediamo e proseguiamo ciascuna la propria passeggiata in questo misterioso bosco (talvolta cupo, ma tanto più sovente accogliente come le braccia di una madre) che è la vita.