Martin Margiela e l’abito bidimensionale
La collezione p\e 2011 di Martin Margiela è concettuale, come sempre. Lo stilista belga ama la provocazione e sulla passerella di Parigi porta abiti uniti da un denominatore comune: l’appiattimento. I capi hanno perso la terza dimensione sul davanti e sono ridotti a semplici pannelli sui cui, dal drappeggio alle zip, alla lavorazione del tessuto, sono disegnati tutti i dettagli dell’abito. Lo stesso che, dietro, ritrova la sua natura originaria, seguendo le forme del corpo femminile. Quella di Margiela è una denuncia, pare, contro lo stile businessman che costringe la femminilità in uniformi da lavoro, appiattendola, appunto.
E così, tutto perde volume, tutto è a due dimensioni, anche gli accessori, come gli occhiali che si portano appesi alle spalle rigide come un pannello. Sfilano golf, gonne, pantaloni e camicie come fossero fogli applicati sulla parte anteriore della silhouette. In alcuni casi i vestiti aderiscono così tanto al corpo, da creare un effetto sottovuoto come il mini dress in vinile nero o il blazer bianco lucido. Seguendo questa ispirazione, già accennata nelle sfilate di febbraio, Martin Margiela disegna scarpe, stiletti e zeppe senza tomaia e borse che sembrano bauletti capovolti o freddi pezzi di plexiglass.
Se la particolarità degli outfit strappa un sorriso spontaneo, lo stilista – già collaboratore di Gaultier e direttore creativo di Hèrmes dal ’97 al 2003 – vuol passare un messaggio che non ha nulla di ironico, almeno a giudicare dalle modelle: l’incedere è lento, teso, e l’espressione del volto, coperto dai capelli, è seria. Anzi piatta.