“Meditation tour”: le promesse non mantenute di Frankie Morello
Pierfrancesco Gigliotti e Maurizio Modica ci hanno abituati a trasformare le sfilate di Frankie Morello in veri e propri show, con tanto di ballerini, recitazione e scenografie spettacolari. Questa volta no. Questa volta la purificazione suggerita dal loro “Meditation tour”, comincia proprio dalla passerella: bianca, essenziale, pulita, animata solo dalla performance live di Burger Girl, progetto musicale dell’artista francese Benjamin Dukhan.
Purificazione dunque. L’intento del duo stilistico è quello di raccontare “un viaggio meditativo e mistico per ritrovare la leggerezza e la purezza, abbandonando l’attaccamento ai beni materiali”.
Le primissime uscite raccontano un uomo a metà tra il manager e il punk-rock: su giacche e pantaloni, rigorosamente neri, sono applicate borchie o cascate di monetine che, tintinnando ad ogni passo, ben si sposano con i “lamenti” elettronici di Burger Girl. Ed ecco che piano piano le borchie scompaiono, e il nero, poco alla volta, cede il passo al grigio. E allora via a completi eleganti accompagnati da improbabili ventiquattrore borchiate, dove diverte la sfumatura dei colori, che va di pari passo con la sfumatura dei tessuti: passiamo così dal grigio del principe di Galles al nero della maglia, tutto sulla stessa giacca. Al grigio si aggiunge il blu elettrico, creando un look giovane e raffinato, in uno dei pochi accostamenti di questa collezione che davvero convince.
Ma ecco una nuova virata, il blu cede il passo al marrone, il grigio si fonde con l’arancio, l’ocra, il panna, il giallo, il bordeaux. I completi da uomo d’affari si trasformano gradatamente in mise adatte ad una scampagnata in montagna; e allora vediamo comparire maglioni pesanti e berretti di lana accompagnati da pantaloni al ginocchio, scarponcini e voluminosi zaini in spalla, come la miglior tradizione boy scout. I tessuti dei maglioni sono sfilacciati a dare l’illusione di frange, e tanto ci ricordano la collezione donna a/i 2011 – 2012 di Isabel Marant.
Ed è qui che la purificazione che questa collezione ci vuole raccontare raggiunge il suo culmine. Ai pesanti maglioni si sostituisce una fluttuante camicia bianca, quasi impalpabile e semitrasparente, arricchita da cascate di collane dal sapore indiano, in un’esplosione di colori caldi. Ed è a questo punto che comincia uno streap tease dal finale scontato: da camicia, pantalone lungo e maglietta passiamo a camicia e pantalone, poi camicia e pantaloncini, camicia e mutande… per finire con il nudo integrale, annunciato, francamente gratuito e anche un po’ ridicolo di Giuseppe Sartori, attore della compagnia teatrale Ricci e Forte. Ed ecco svelato l’inganno: la “presentazione forte”, la “provocazione” che Modica e Gigliotti ci avevano promesso è davvero questa? Avremmo preferito che avesse avuto a che fare con ciò di cui la moda si occupa, e non con il suo esatto opposto.
La sensazione che ci resta è che questo finale così –finto- trasgressivo sia un mal riuscito tentativo di distogliere l’attenzione da una collezione che di spirituale ha ben poco.
Molto ben scritto e descritto! Brava!