Milano Fashion Global Summit. Settima Edizione
“Luxury Check Up: Riuscirà il lusso a svilupparsi con i soli nuovi mercati”?
Questa domanda ha riunito martedì 25 novembre 2008, i principali protagonisti internazionali del fashion system, per un check up sull’evoluzione possibile del mercato della moda e del lusso nella presente congiuntura economico-finanziaria. L’evento – la settima edizione del Milano Fashion Global Summit- organizzato da Class Editori in collaborazione con The Wall Street Journal, la Camera Nazionale della Moda Italiana e Merrill Lynch, si è svolto presso l’Aula Magna della Università Bocconi
Riuscirà il lusso a svilupparsi con i soli nuovi mercati? Quale è stato l’impatto della crisi economico-finanziaria in atto sui settori della moda e del lusso? E quali sono le possibili strategie per affrontarla ed uscirne? Quali aspettative è lecito disegnare nei confronti dei mercati emergenti India, Cina Medio Oriente nel presente scenario macroeconomico? Quale sarà il comportamento del consumatore; come risponderà al test natalizio?
Domande pesanti; a cui hanno cercato di dare una risposta i principali protagonisti internazionali del fashion system riuniti a Milano per la settima edizione del Milano Fashion Global Summit. Risposte moderatamente ottimiste; sicuramente orientate ad indicare una severa strategia aziendale che non ammette disattenzioni, o dilazioni nelle decisioni.
Loro Piana |
Quali in sintesi le considerazioni dei numerosi relatori intervenuti?
Attenzione al prodotto, sostenere la qualità; mantenere la tradizione artigianale per il Made in Italy e proporre l’Italia come polo di produzione mondiale .
Il presidente della CNMI, Cav. Mario Boselli, è ottimista ed individua 4 fattori che possono agire in favore del Made in Italy proprio come conseguenza della crisi: la perdita di competitività della Cina che non fa paura come prima; la riduzione dell’antidumping in molti paesi; il calo dei costi delle materie prime; il recupero dell’euro sul dollaro che ha favorito le esportazioni. “L’Italia può tornare ad essere la fabbrica dell’alto di gamma”, afferma Mario Boselli e punta lo sguardo sulla produzione, sull’occasione che si ci offre, grazie all’apparato produttivo rappresentato dai distretti, di richiamare in Italia quelle aziende -anche non italiane- che producevano all’estero e stanno facendo marcia indietro. Così sta succedendo per alcune storiche griffe inglesi che, sulla via del ritorno a casa, hanno dimostrato di prediligere la qualità artigianale italiana.
Le considerazioni e i suggerimenti di Diego della Valle, fondatore del gruppo Tod’s, e di Franco Cologni direttore di Compagnie Financière Richemont, vanno sulla stessa linea. Capitalizzare il Made in Italy. “Il valore del brand risiede nell’artigianilità del Made in Italy dice della Valle, bisogna evitare di produrre fuori”. “Il cliente cerca il valore -insiste Cologni-, bisogna offrire cosa belle ad un prezzo accessibile,
I gommini Tod’s |
perché questa crisi porterà ad un po’ di pulizia in un mercato che ha visto molti eccessi, in termine di aperture, ma principalmente di prezzi troppo elevati rispetto al valore del prodotto”.
Sul valore del prodotto hanno richiamato l’attenzione i ricercatori di Piattaforma Moda di SDA BOCCONI, Salvo Testa, Erica Corbellini e Stefania Saviolo presentando le conclusioni di uno studio sull’identità del consumatore attuale. “Sul medio termine -ha affermato Salvo Testa- sarà necessario stressare l’aspetto qualitativo del prodotto di alta gamma e dare dignità a quello di massa”. A cominciare dalla qualità delle materie prime -sottolinea Sergio Loro Piana- illustrando una strategia aziendale che già dal 2006 aveva individuato la necessità di “presentare il marchio come riferimento assoluto, per coloro che cercavano autenticità e unicità”, compratori quindi che cercano la qualità per se stessa e non per ostentazione.
Ferragamo |
Per Michele Norsa ad di Salvatore Ferragamo la strategia del gruppo sarà quella di mantenere il sogno che fino ad ora è stato venduto con il marchio Ferragamo, ma allo stesso tempo avvicinare il prodotto al consumatore che vuol comprare qualcosa che dura nel tempo. Bisogna andare incontro al compratore, catturarlo, cercarlo ad esempio negli aeroporti; raggiungerlo attraverso il web, da dove presto passerà il 10% delle vendite. Internet è un business aggiuntivo che va sostenuto e in tempi rapidi. Soddisfare la necessità del compratore di sentirsi unico, accudito, con un servizio di customer care attento, che aiuti nella scelta, e miri anche a fidelizzare il compratore: perché la clientela -non si può dimenticare che è di natura “infedele -è un patrimonio da conservare con cura, specialmente nei momenti di crisi.
Strategie promosse dall’interno e dall’esterno delle aziende
In linea di massima studiosi, analisti e imprenditori coincidono, al momento di suggerire le misure per affrontare la situazione di crisi.
Dalla Valle sintetizza così il suo punto di vista: rimettere in gioco alcune regolette di buon governo: magazzini leggeri, assicurarsi liquidità, continuare a produrre nuove idee, nuovi stimoli, nuovi prodotti, non frenare la ricerca e lo sviluppo. Fabio Canali della Lectra insiste proprio sullo sviluppo tecnologico. Paola Durante analista della Merrill Lynch aggiunge: sostenere il brand, aumentare la liquidità, trasparenza e qualità sia del management che della governance, “resisteranno -dice- le aziende con forti flussi di cassa e poco indebitate”.
Dall’esterno “non abbiamo bisogno di interventi a pioggia” dice della Valle “il made in Italy non ha chiesto nulla alla politica; anche ora la crisi la stiamo gestendo direttamente, ma lavorando in modo pressante”.
Cucinelli,-Gunex-Rivamonti |
Certamente in questa congiuntura, da parte delle istituzioni, sarebbero necessari tre tipi di interventi immediati per poter “permetterci già tra pochi mesi di mostrare i risultati e cominciare a raccogliere i frutti”. Sono – sempre secondo il patron di Tod’s- “detassazioni, poche; alleggerimenti fiscali subito su ricerca, sviluppo e innovazione, sulle tredicesime e sui contributi” che permettano di mantenersi competitivi su mercati; ma anche per operare una politica di solidarietà e far arrivare qualcosa in più in busta paga, perché la gente non arriva a fine mese. “Il capitale vero di una azienda -dice Franco Cologni- è il capitale umano; se i tagli si fanno in questo senso, alla ripresa sarà difficile rimanere concorrenziali”. Centralità delle risorse umane in azienda avverte Brunello Cucinelli.
Ultima considerazione, e rimanendo negli interventi esterni, è il sostegno al Made in Italy, per non essere costretti ad andare all’estero per i prodotti a maggior contenuto di qualità. “Se l’importante non è quanto costi ma quanto vali è il Made in Italy che bisogna capitalizzare” conclude Della Valle.
Fabrizio Onida presidente CRESPI (Centro ricerche sui processi di innovazione e internazionalizzazione) dell’ Università Bocconi insiste sul fatto di investire in marchi, e sui canali distribuzione.
Ancora a monte di quanto detto le soluzioni non sono nelle mani degli imprenditori. Andrea Pellegrini di Merryl Lynch ricorda che la crisi porterà ad una nuova impostazione “Dobbiamo tornare a fare le banche, cioè aiutare gli imprenditori a crescere, anche se la finanza deve continuare ad esserci”.
Furla |
Non potevano mancare le domande relative agli strumenti finanziari più opportuni. Il suggerimento viene da Marco De Benedetti di Carlyle Group e da Barbara Rovetta della SDA Bocconi. Per le aziende di lusso i fondi di private equity vanno rivalutati: possono rappresentare al meglio le necessità di questa aziende “perché -ha detto de Benedetti- sanno cogliere a pieno le potenzialità dei brand”
E i mercati esteri?
Il Summit si proponeva di esaminare i mercati emergenti e le opportunità che possono offrire per superare la crisi; in realtà nell’intera giornata di dibattito il tema dominante è stato il Made in Italy e più concretamente gli sforzi necessari, proprio in questa congiuntura, per mantenerne il valore.
Ciononostante le indicazioni relative ai tre principali mercati -India, Cina, Medio Oriente- sono stati precise. La parola d’ordine trasmessa è stata affrontarli con grande responsabilità. Vediamoli brevemente.
L’India è un potenziale grande mercato composto nel medio-lungo termine di 12 milioni di persone con reddito annuo superiore ai 100 mila dollari, raffinate e preparate diversamente da altri paesi emergenti, con abitudine al bello come fatto culturale assodato. Attualmente sono però da tener presenti i seguenti fattori che consigliano molta prudenza e pazienza per affrontare tale mercato:
– La cultura indiana non si presta ad una occidentalizzazione dei consumi. Inoltre nell’ambito dell’abbigliamento “vanta industrie manifatturiere con marchi e stilisti locali che dettano legge” afferma Luca Ferro office manager Value partners Mumbai. E non si può trascurare il fatto che le donne “preferiscono ancora ricorrere all’abbigliamento tradizionale per le grandi occasioni”.
– E’ necessario indianizzare il prodotto o almeno proporne ad hoc, anche per quei prodotti verso i quali la clientela indiana può essere più sensibile, come preziosi e accessori. Non si può quindi porre il problema del mercato indiano solo in termini di retail, ma anche di produzione affrontandolo con un partner locale. E’ il caso di Morellato che ha avviato una attività manifatturiere in loco, in partership con Gitanjali gigante internazionale dell’ambito della gioielleria.
– Non si possono trascurare i punti critici del mercato indiano:difficoltà burocratiche, mancanza di infrastrutture, logistica. L’80% del reatil è inoltre ancora all’interno delle grandi catene alberghiere.
Iceberg – ph. Paul de Grauve |
La Cina è già un grande mercato che crescerà meno del previsto, in conseguenza della attuale crisi, ma continuerà a crescere. Esistono già 250 milioni di persone con alto potere di acquisto moda, senza considerare il mondo giovanile che vuole prodotti moda. Paolo Fontanella ad di Furla afferma “non vediamo segnali di rallentamento ai piani messi in atto” e Giancarlo de Risio ad Versace aggiunge “Nel 2005 non avevamo nulla, oggi abbiamo 21 boutique di proprietà; nel 2009 per noi la Cina prenderà il posto del mercato americano”. Anche per Fornarina marchio giovane di Fornari spa , il futuro è roseo. Presente in Cina dall’ ’86, ha oggi 72 negozi nel Sudest e prevede una espansione nel Nord e nell’Ovest del Grande Paese.
Il Medio Oriente?
Una zona di portata strategica, con una clientela attenta ai marchi di nicchia, con qualità, dove è possibile portare “gusto, e qualità italiane a chi ha fame del made in Italy” afferma Matteo Cordero di Montezemolo del gruppo Poltrona Frau “Questi mercati, Dubai, Qatar, Bahrain -dice Giancarlo Cartiglio ad di Marni- rappresentano un’area con grandi potenzialità di crescita”. Lorenzo Braccialini, direttore marketing di Braccialini punta il dito sul fatto che in questi mercati “è necessario esserci, perché lì approda un turismo internazionale; quindi esserci è un grande investimento di comunicazione”. Tutto facile? No, prosegue. “La joit venture è d’obbligo e poi i punti vendita devono essere presidiati perché i soci sono troppo giovani per avere esperienza reatil”.
La Russia. Anche il mercato russo si presenta come un ottimo sbocco commerciale per il Made in Italy specialmente per il settore maschile come conferma Carlalberto
Corneliani |
Corneliani “Abbiamo 12 punti vendita monomarca nelle più importanti città russe sui 35 totali in tutta la Russia “. Altre aziende che hanno rapporti già consolidati con il mercato russo sono Gilmar e Swinger internazional ed avvertono “solo con una buona dose di flessibilità e una buona conoscenza del territorio” sarà possibile conquistare altri spazi. Dall’interno del mercato un monito agli investitori italiani: “I consumatori russi – avverte Mikhail Kusnirovich fondatore di una catena di department store di lusso- sono preparati; non possono essere trattati come consumatori di serie B”. L’ ad di Swinger Mathias Facchini consiglia umiltà, per affrontare il mercato con la nota giusta, evitando di “considerare la Russia un Paese del Terzo mondo”, anche perché oggi offre migliori garanzie di liquidità rispetto a dieci anni fa.
Il mercato interno e il tradizionale mercato USA
La conclusione del percorso della giornata può essere data dalle parole dell’ ad di Pitti Immagine Raffaello Napoleone che ha avvertito: “Per uscire da questo clima le aziende devono saper guardare tutti i mercati non solo Russia, India, Cina o Brasile. Non ci si può dimenticare che il mercato interno e quello americano rappresentano il 65% delle vendite per le aziende italiane”