Moda a regola d’arte per l’estate
Sarà l’estate degli abiti “dipinti”, dei tessuti che riproducono quadri e monumenti oppure che lanciano messaggi di denuncia. Con potenti riferimenti alla cultura visiva e letteraria, molti stilisti sembrano interpretare nella loro moda un neomovimentismo pop, sull’onda di una più acuta attenzione verso i fenomeni sociali, a cominciare da quelli artistici, sempre “profetici” e semiologicamente dirompenti, in grado di presentire i tempi ed i loro spiriti.
L’hanno intuito alla perfezione Dolce & Gabbana, costantemente pronti a concedersi digressioni nella loro amata terra natia o di adozione. Ecco allora la Sicilia greca rianimarsi su stoffe piene di luce e colore, su cui si stagliano i resti dei divini templi di Selinunte, Segesta, Siracusa, Agrigento, convertiti in litografie su camicie e spolverini, corredati da un profluvio di accessori che ripropongono monete antiche (orecchini, cinture, collane, ecc.), con i sandali che rubano la scena dall’alto dei loro tacchi a colonna, nonché zeppe istoriate con le ceramiche di Caltagirone. E’ questa l’Italia adorata dai turisti stranieri che, pur non esenti da qualche trito stereotipo, sanno coglierne l’anima vera, fatta di bellezza e armonia, valori e sentimenti che forse molti Italiani hanno colpevolmente dimenticato.
Miuccia Prada, invece, con la sua moda “poster”, vuole mettere in evidenza disagi e paure del nostro tempo, in particolare per lanciare un messaggio contro la violenza sulle donne. Così per questa estate la stilista milanese propone tante stampe di volti femminili, colti nei loro aspetti più fragili, disarmati, disperati, addolorati. E gli stessi visi sono stati raffigurati sulle pareti come murales – in occasione dalla sfilata – da sei artisti sudamericani. Ne sortiscono cappotti e vestiti che evidenziano reggiseni incrostati di strass e pietre, resi però scevri di potere di seduzione per essere investiti del mero valore della femminilità. Pertanto questi capi appaiono deliberatamente incompiuti, quasi difettosi, quantunque onusti di decori, proprio per rappresentare il mondo ferito e deturpato in cui viviamo. In queste creazioni si avverte forse un’eco fantastica e surrealista di una donna che “visse d’arte e d’amore” come la messicana Frida Kahlo (1907-1954), cuore precolombiano e “beautiful mind”, personalità idiosincratica, della quale si sta tenendo a Roma, presso le Scuderie del Quirinale, una mostra con numeri da record che mirabilmente ne illustra la poetica tra surrealismo e “realismo magico” (in autunno poi sarà la volta di un’altra esposizione dedicata a lei ed al marito Diego Rivera nella cornice di Palazzo Ducale a Genova). Divenuta oggetto di culto dopo il suo turbolento matrimonio col pittore Rivera e l’assurdo incidente che la costrinse a letto vari anni fino alla morte, consentendole però di continuare a dipingere pur tra atroci sofferenze, la Kahlo esercita ancora la sua influenza ideale su creativi di diversi campi.
Anche Céline, alias l’inglese Phoebe Philo, si è fatta suggestionare dall’arte moderna trasferendo sugli abiti la forza primordiale dei graffiti disegnati sui muri parigini negli anni ’20 e immortalati dall’obiettivo dell’ungherese Brassai. Pennellate dense di colori primari come in un quadro di Joan Mirò (giallo, rosso, verde e blu cobalto) accostati a basi neutre di bianco e nero, con evocazioni tribali e riferimenti all’Art Brut, raccontano il desiderio delle donne di affermare il loro ruolo e, allo stesso tempo, di essere sensuali. Quindi Céline ha voluto puntare su uno chic cerebrale giocato su magliette e top dalle linee allungate, gonne plissé alla caviglia con orli asimmetrici, tuniche drappeggiate strette in vita come vestaglie, spolverini costellati di oblò metallici che citano l’arte cinetica di Alexander Calder.
Nemmeno Chanel ha rinunciato a farsi ispirare da dipinti, sculture e grafiche metropolitane, immaginando fanciulle truccatissime che indossano abiti inondati di colore steso con pennellate e schizzi decisi, mentre al braccio portano grandi cartelle o zaini su cui campeggia il logo della griffe spruzzato con le vernici dei graffitari, in perfetto street style illusionistico.
E poi Antonio Marras (con il suo gusto per le metamorfosi a partire dal mito di Apollo e Dafne), Schiaparelli (con un Marco Zanini in vena surrealista), Givenchy (con Riccardo Tisci “tribale” come non mai, affascinato dall’arte africana e asiatica), Frankie Morello (con Maurizio Modica e Pierfrancesco Gigliotti decisamente virati sul pop, oltre che sulla gioielleria metafisica del “leggendario” Fulco di Verdura) e tanti altri… quasi tutti insomma si sono guardati intorno e si sono appigliati, più o meno con humour e ironia, all’arte antica o moderna che sia per parlare sì di moda e di bellezza, ma anche e soprattutto di vita vera.